Non era «l’ora delle decisioni irrevocabili» e, fortunatamente, non è stata consegnata alcuna dichiarazione di guerra agli ambasciatori. E però la firma da parte del governatore Luca Zaia, ieri, in diretta su Facebook, della lettera al «carissimo Presidente Renzi» con cui la Regione dà avvio alla trattativa con lo Stato per ottenere più competenze, più soldi e insomma, più autonomia, è avvenuta comunque in una cornice da evento epocale, al piano nobile di Palazzo Balbi.
Tutta la giunta schierata, il presidente del consiglio Roberto Ciambetti in prima fila, Luca Antonini, il costituzionalista dell’università di Padova che è il vero artefice dell’atteso negoziato (perlomeno da dieci anni) che si scusa «per l’emozione», e Zaia che attacca, dritto: «Questa per noi è una giornata storica». La data, spiega, non è casuale: «Il 17 marzo del 2015 davo il via alla mia campagna elettorale per la rielezione, facendo dell’autonomia uno dei cardini del mio programma. Un anno dopo sono qui a dirvi: promessa mantenuta». Qualcuno, polemicamente, fa notare che il 17 marzo è anche l’anniversario dell’Unità d’Italia (correva l’anno 1861) ma la destrissima assessore all’Istruzione Elena Donazzan subito lo rintuzza: «A maggior ragione, oggi il Veneto dà prova di vera responsabilità e di autentico spirito nazionale».
Zaia ripercorre le tappe che hanno portato fin qui (c’era perfino chi, come il suo predecessore Giancarlo Galan, era arrivato ad evocare lo spauracchio dell’ex Jugoslavia, «sento un tintinnare di sciabole», pur di convincere il Governo) ma adesso c’è un quid in più ed è quello introdotto nella legge di Stabilità 2014 da un emendamento «anti insabbiamento» della senatrice trevigiana del Pd Simonetta Rubinato, che quanto meno obbliga il Governo a dire un «sì» o un «no» entro 60 giorni alla proposta avanzata dalla Regione. Il responso di Palazzo Chigi arriverà dunque nel bel mezzo della campagna elettorale per le amministrative e certo non sarà facile per il Pd giustificare un’eventuale niet . Una «strategia della pressione» ideata da Zaia, che comunque ha nel referendum il suo bazooka: «La strada è segnata – avverte – da oggi inizia il conto alla rovescia dei 60 giorni, scaduti i quali ci attendiamo la risposta di Roma. Dopo di che, in ogni caso faremo il referendum perché voglio che il popolo si esprima». L’obiettivo, come anticipato mercoledì dal Corriere del Veneto , è celebrarlo in abbinata con quello sulla riforma Boschi, a ottobre, così da risparmiare i 14 milioni stimati per una consultazione autonoma (la Regione, per ora, ha messo a bilancio 2 milioni). Ma non è escluso che se il Governo dovesse tentare il boicottaggio, Palazzo Balbi possa pensare ad una tassa di scopo per finanziare un appuntamento a suo modo storico per questo territorio. «Sarà la prima volta che i veneti potranno votare su questo argomento e io non voglio che sia un referendum di partito – precisa Zaia – voglio che sia il referendum della nostra comunità». I presupposti ci sono: l’iniziativa è di un leghista, sfrutta il pertugio offerto da una dem e poggia su una legge, la 15 del 2014, che fu fortemente voluta da Forza Italia, quando ancora la Lega perorava la corsa indipendentista: «Che comunque non viene cannibalizzata ma rimane. Anche la Scozia ha puntato prima all’autonomia e poi all’indipendenza». Il consigliere secessionista Antonio Guadagnini, pure seduto in platea, sospira sollevato.
«La mia giunta ha fatto una scelta eroica – continua il governatore – e il modello a cui ci ispiriamo e quello di Trento e Bolzano: vogliamo tenerci i nove decimi delle nostre tasse, Irpef, Ires e Iva». Complessivamente parliamo di 19,4 miliardi che consentirebbero di farsi carico piuttosto agevolmente delle tante competenze chieste allo Stato (si veda l’articolo a lato) con un iter che se non ci saranno intoppi, e sarebbe un miracolo, potrebbe chiudersi già nell’arco del 2017. «Lo Stato non perde nulla, anzi – assicura il professor Antonini – secondo i nostri calcoli guadagnerebbe 60 miliardi di Pil liberando le energie del Veneto dai lacci delle tasse e della burocrazia. E invece vogliono assassinare questa Regione, a cominciare dalla sanità, mandando i manager della Calabria scelti dalla Madia». Zaia chiama tutti a raccolta: «Dobbiamo stare uniti perché qui o vince Roma o vince il Veneto» (nella lettera a Renzi i toni sono meno perentori: «È un progetto destinato a condizionare positivamente l’assetto istituzionale, rendendolo adeguato a fronteggiare le nuove sfide che avanzano»). Ma le reazioni, in una terra in cui tutti si professano convintamente autonomisti, sono ricche di distinguo (ovviamente non in casa Lega e Fi, dove l’entusiasmo è incondizionato e alle stelle). «Ben venga un confronto istituzionale serio, ma non siamo disponibili a perdere tempo in discussioni propagandistiche e strumentali – dice il sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa – noi siamo aperti, non serve alcun referendum». Flavio Tosi, sindaco di Verona: «Cosa accadrà dopo il referendum? Nulla. Sono quesiti farlocchi e niente più». Il Movimento Cinque Stelle, invece, sta con Zaia senza esitazioni: «Autonomia per il Veneto e per tutte le altre regioni d’Italia – dice Jacopo Berti – noi puntiamo agli Stati Uniti d’Italia».
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 18 marzo 2016