Ora due mesi di consultazioni Per la copertura da qui al 2017 serviranno nove miliardi. Il piano Renzi: stop a precariato e scatti di anzianità Più inglese e Internet. Sì ai fondi delle imprese
La “Buona scuola”, la più profonda e complessa riforma scolastica dell’Italia contemporanea, ora è un atto politico. Non ancora un decreto legge perché Matteo Renzi vuole una discussione pubblica lunga due mesi e chiede centoventi giorni (la Finanziaria che si chiude il 31 dicembre) per trovare i soldi. Ma in quelle 126 pagine più allegati pubblicate ieri mattina online, con 37 minuti di ritardo, c’è così tanta roba da far comprendere che sei mesi di lavori (del premier e del sottosegretario di fiducia Reggi, degli uffici tecnici del Miur capo di gabinetto in testa, dei giovani chiamati a collaborare ai due cantieri tematici istituiti dal ministro Giannini) sono figli di una visione d’insieme e possono approdare a risultati concreti. «Questo governo non ha esitazioni: la scuola è la priorità del paese e su di essa mobiliteremo le risorse che servono», ha detto il premier. Sul dossier che innerva la riforma c’è scritto: «Risorse pubbliche più ingenti e certe, finanziamenti dedicati all’offerta formativa mai più dirottati, 800 milioni di fondi europei».
Ecco, dopo il mancato Consiglio dei ministri del 29 agosto, Renzi ha scelto di liberarsi dai vincoli di copertura evitando per ora qualsiasi cdm. Ha messo per iscritto, tuttavia, che per il Patto educativo servirà un miliardo subito, ne serviranno tre nel 2016 e cinque nel 2017. A gennaio 2015 si firmerà il decreto, che diventerà una legge delega: sulla scuola si dovrà scrivere un atto unico organico e si dovranno abrogare “i primi cento articoli inutili”. Entro luglio la riforma dovrà essere a regime.
L’atto forte del testo, come anticipato da “Repubblica”, è una promessa di assunzione di massa entro il primo anno: saranno 148.100 precari e svuoteranno in una stagione le Graduatorie a esaurimento, le Gae diventate una camicia di granito per la scuola, la sua didattica, il suo futuro. Di fronte a questa infornata storica di precarioni, il governo chiede di entrare in un nuovo status giuridico che abolirà nuovi scatti di anzianità introducendo gli scatti triennali di competenza e i premi annuali. “Bisogna uscire dal grigiore dei trattamenti indifferenziati”, dice senza remore il testo. I tecnici del Miur calcolano che i dodici scatti di competenza regaleranno ai due terzi degli insegnanti migliori novemila euro l’anno a fine carriera, contro i duemila della rottamanda anzianità. Non tutti i 622 mila precari oggi nelle quattro graduatorie (Gae e tre d’istituto) si salveranno. Ce ne sono almeno 90 mila senza abilitazione che rischiano di uscire dal ciclo: «Non possiamo considerare un precario chi ha fatto supplenze per una settimana».
Arrivano i crediti formativi per i docenti, la temuta valutazione dei singoli insegnanti, tornano in funzione gli ispettori ministeriali e le sanzioni disciplinari. «I docenti dovranno trasmettere pensiero critico, capacità nella soluzione dei problemi, possedere attitudini tecnologiche». L’informatica deve diventare un progetto educativo per i “nativi digitali” e l’inglese si sentirà dalle scuole d’infanzia “per non parlarlo come me”, dice il premier. Poi ci sono i finanziamenti delle imprese e i laboratori privati accreditati per gli istituti tecnici. «Nulla da temere, a certe condizioni risorse private possono contribuire a trasformare la scuola in un investimento collettivo». School bonus e school guarantee per le aziende che investono su studenti e istituti. E obbligazioni a impatto sociale, come in Usa e Regno Unito.
Repubblica – 4 settembre 2014