«AstraZeneca dice che il Regno Unito ha la priorità perché ha firmato prima il contratto? Non funziona così, qui non siamo dal macellaio». Le parole di Stella Kyriakides, commissaria Ue alla Salute, rendono bene il livello dello scontro in atto tra l’Unione europea e AstraZeneca per gli annunciati ritardi nella consegna dei vaccini. Una rissa che per il momento si gioca tutta sul piano della comunicazione, ma che sembra destinata a risolversi soltanto sul piano legale. Perché le parti hanno fornito un’interpretazione diversa del contratto, che resta segreto.
Nella giornata di ieri la tensione è salita alle stelle, tanto che AstraZeneca aveva in un primo momento cancellato la sua partecipazione alla riunione con gli esponenti Ue, convocata proprio per rispondere alle richieste europee di chiarimenti. C’è stato un confronto in serata, ma i numerosi punti di domanda restano. E così, alla vigilia della probabile autorizzazione da parte dell’Agenzia europea del farmaco, una soluzione ancora non si vede.
L’impatto sui piani vaccinali
La cosa preoccupante è che il taglio delle forniture sarà molto più pesante e soprattutto rischia di protrarsi ben oltre il primo trimestre. In un primo momento si era parlato di una riduzione del 60%, ma ieri fonti Ue hanno rivelato che entro la fine di marzo i Paesi riceveranno soltanto il 25% di quanto concordato. E che per ora è «buio fitto» sul secondo trimestre: l’azienda non ha dato garanzie. Uno scenario destinato a stravolgere totalmente i piani vaccinali dei governi Ue, che facevano molto affidamento sul vaccino di AstraZeneca (la Commissione ha ordinato 300 milioni di dosi più un’opzione per altri 100 milioni).
L’azienda ha ribadito che lo stop è legato a un problema nell’impianto di Seneffe, in Belgio, dove viene creato il principio attivo del prodotto. Ma la Commissione non crede a questa versione perché non sono state fornite spiegazioni soddisfacenti. Tanto che le autorità belghe hanno realizzato un’ispezione nello stabilimento (il report arriverà nei prossimi giorni).
Il sospetto è che AstraZeneca abbia mandato nel Regno Unito le dosi prodotte all’interno dell’Ue e dunque destinate ai 27. Del resto, a dicembre, erano stati gli stessi responsabili della task force britannica per i vaccini ad annunciare l’arrivo delle fiale dallo stabilimento in Germania in seguito ad alcuni problemi riscontrati in Gran Bretagna.
Il nodo degli impianti
Pascal Soriot, numero uno di AstraZeneca, ha giurato che «i vaccini per gli europei non sono stati dirottati verso altri Paesi». Al tempo stesso ha però parlato di un accordo con il Regno Unito che garantirebbe a Londra una corsia preferenziale. Ha inoltre aggiunto che l’intesa con Bruxelles prevede che i vaccini destinati ai 27 provengano innanzitutto dai siti che si trovano sul territorio Ue e solo come «possibilità secondaria» da quelli britannici.
«Nel contratto non c’è alcuna gerarchia degli stabilimenti» ha replicato la commissaria Kyriakides. Fonti Ue dicono che nel contratto si parla di quattro siti «in Europa, non nell’Unione europea: uno è in Belgio, uno è in Germania e due nel Regno Unito». Se c’è un problema in uno di questi, dicono a Bruxelles, AstraZeneca dovrebbe attingere dagli altri. Il problema è che il contratto è secretato: la Commissione ha chiesto di renderlo pubblico e accusa Soriot di aver violato la clausola di riservatezza, visto che l’amministratore delegato ha rivelato alcuni dettagli nel corso di un’intervista.
Soriot aveva spiegato di non essere tenuto ad alcun obbligo quantitativo per quanto riguarda le consegne. Perché, secondo il contratto, l’azienda è tenuta soltanto a «fare del suo meglio» («best effort»). Anche su questo punto la Commissione non è d’accordo. Pur riconoscendo la clausola «best efforts», ha ricordato che i 336 milioni di euro stanziati come pre-finanziamento servivano anche a garantire uno stock di vaccini da produrre prima del via libera dell’Ema in modo da assicurare le consegne nelle prime settimane. Uno stock che probabilmente è già stato spedito altrove. —
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