Repubblica. Doveva essere il vaccino della svolta. Costava meno e soprattutto era più facile da conservare degli altri. Il 29 gennaio, quando l’Ema ha approvato AstraZeneca, sembrava finalmente che la campagna di vaccinazione di massa potesse decollare in Europa. E invece a decollare sono state le polemiche e i sospetti. Prima dell’allerta sui possibili effetti collaterali delle ultime ore, era già in corso la battaglia tra l’Ue e il laboratorio anglo-svedese che commercializza il siero brevettato dall’università di Oxford. Da subito ci sono stati dati confusi sull’immunità garantita dalla prima dose, l’effetto sulle persone oltre i 55 anni e poi la protezione contro le varianti. Superati i primi dubbi, a irritare i governi europei è stato il caos nelle consegne. Ritardi, cancellazioni, scuse non sempre credibili.
Dai 120 milioni di dosi promesse alla Ue per il primo trimestre si è scesi ormai a 30 milioni. Cos’è successo? «È un clamoroso fiasco», dice una fonte della task force dei vaccini a Parigi, parlando di gravi errori di management e strategia industriale. Uno dei tanti segnali che non sono piaciuti è il fatto che il Ceo di AstraZeneca, il francese Pascal Soriot, se ne sia andato a svernare in Australia. Per colpa del fuso orario, le comunicazioni con lui sono diventate quasi impossibili. Era stato Soriot a dire in un’intervista a Repubblica, dopo i primi ritardi, che il gruppo si era impegnato a fare «del suo meglio» sulla tempistica, ma che nel contratto con l’Ue non c’era nessun vincolo. «Vedo degli sforzi, ma non i migliori sforzi» ha tuonato giovedì il commissario Thierry Breton dopo l’ennesimo taglio delle dosi previste tra aprile e giugno: 70 milioni invece di 180.
In tanti sospettano che dietro agli imprevisti ci possa essere la scelta di favorire Paesi extra-Ue, a cominciare dal Regno Unito dove AstraZeneca ha fornito già 9,7 milioni di dosi. È uno dei motivi che hanno spinto la Ue ad approvare un meccanismo di controllo dell’export. E il premier Mario Draghi a bloccare, il 4 marzo, lotti prodotti in Italia che dovevano essere esportati verso l’Australia. Un avvertimento che non ha fugato tutti i sospetti. «Le ipotesi sono due: Astra- Zeneca ha sopravvalutato le sue capacità industriali o ha consegnato dosi dove non avrebbero dovuto essere consegnate» dice ora la ministra francese all’Industria, Agnès Pannier-Runacher. Negli ultimi giorni i problemi di consegna sarebbero dovuti, secondo il gruppo, a un laboratorio di controllo irlandese che deve effettuare i test clinici su alcuni lotti. Una giustificazione che non convince molti. Prima c’era stato il rallentamento in una delle fabbriche in Belgio che ha ricevuto l’appalto. AstraZeneca non aveva finora una sua infrastruttura di produzione di vaccini e si è dovuta affidare a terzi nella lotta contro la pandemia.
L’azienda sperava di compensare i buchi in Europa importando 10 milioni di dosi prodotte dal Serum Institute of India, ma l’esportazione è stata bloccata dal governo di Delhi. Un altro tentativo in corso è quello di recuperare 30 milioni di dosi che si trovano negli Usa, dove il vaccino del laboratorio anglo-svedese non è stato autorizzato dalla Fda. In tempi di nazionalismo vaccinale, anche questa strada appare in salita. L’amministrazione Biden non pare intenzionata ad autorizzare l’export. E l’Ue vuole evitare una guerra dei vaccini con il principale alleato nella corsa all’immunità.
I due laboratori americani Pfizer e Moderna sono anche gli unici che finora hanno rispettato i tempi di consegna inseriti nell’accordo con la Commissione. E sono stati anche i più disponibili per contratti di licenza con altre aziende che permetteranno di aumentare nei prossimi mesi la produzione in Europa. Pfizer ha addirittura comunicato la settimana scorsa di poter dare a Bruxelles più dosi del previsto. Molti Paesi europei sperano così di compensare, almeno in parte, tutti i guai con AstraZeneca.