Multinazionali contro made in Italy. Siamo alla prima guerra del Semaforo dichiarata da sei big del cibo (Coca-Cola, PepsiCo, Mars, Mondelez, Unilever e Nestlé) che vogliono istituire un sistema di etichettatura «a semafori» che classifica i cibi in base all’ apporto di sale, zucchero, grassi e acidi e utilizza tre colori (rosso, giallo, verde). Il sistema, in teoria «volontario» ma caldamente raccomandato dal governo di Londra – prima che Brexit azzerasse tutto – si era già visto minacciare una procedura di infrazione da parte di Bruxelles. Contro il semaforo sono ferma mente schierati la Confindustria ita liana e il governo di Roma che accusano le sei multinazionali di concorrenza sleale. Le critiche Lisa Ferrarini è vicepresidente della Confindustria, guida l’ omonimo gruppo che produce salumi e non ha remore a dire come la pensa: «Il semaforo ha come unico obiettivo la massificazione e l’ appiattimento dei consu mi alimentari a scapito della dieta mediterranea. Così però si inganna il consumatore, inducendolo ad associare la salubrità degli alimenti ad una scala cromatica che non tiene conto delle loro qualità. Mi lascia perplessa che delle multinazionali che non rappresentano l’ industria alimentare europea, né tantomeno quella italiana, tentino di imporre in Europa un sistema che penalizza produzioni leader nella qualità a livello mondiale come quelle italiane». Prodotti come il Prosciutto di Parma, il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, il prosciutto San Daniele, l’ olio extravergine d’ oliva riceverebbero il bollino rosso per la presenza di qualche grammo di sale in più. «E sinceramente mi sembra paradossale che questi prodotti possano finire dietro la lavagna», dice ancora Ferrarini. Chi c’ è dietro L’ iniziativa delle multinazionali vista dall’ Italia ha sicuramente qualcosa di inspiegabile. Innanzitutto la strana alleanza tra i due giganti delle bollicine CocaCola e PepsiCo che hanno rappresentato nel tempo la summa della (sana) concorrenza e ora invece, messi alla frusta dai consumatori che co minciano a tenersi alla lontana dalle bibite gassate, si mettono assieme. Anche la presenza della Nestlé tra le Sei Sorelle ha fatto rumore. La multinazionale di Vevey ha avuto sempre una relazione molto positiva con il nostro Paese: ha portato al successo globale un marchio come San Pellegrino, vuole fare qualcosa del genere anche con l’ acqua Panna (un alto dirigente della Nestlé ne ha lodato in pubblico addirittura «la toscanità») e soprattutto ha scelto di investire su Benevento per farne l’ hub della pizza surgelata. Giovedì scorso poi ha addirittura presentato a Milano una ricerca del Censis, il Centro studi investimenti sociali, che suonava come un vero inno all’ italianità. Le ragioni Che succede dunque? Siamo in presenza di raffinate strategie o la confusione regna grande sotto il cielo del food? E soprattutto come hanno preso i country manager italiani delle sei big la clamorosa iniziativa partita dai rispettivi quartier generali? La vox populi dice che siano rimasti senza parole e qualcuno di loro avrebbe fatto sapere di non essere stato nemmeno avvisato. Lisa Ferrarini non vuole perdere tempo con le indiscrezioni e tira dritto: «Se è vero che siamo quel che mangiamo, vale la pena di leggere una recentissima ricerca di Bloomberg che indica come il nostro Paese è primo al mondo per aspettative di vita e secondo per longevità. E’ evidente che questo risultato è anche merito di un’ industria alimentare che ha sempre puntato sulla qualità. Una dieta completa ha bisogno di tanti ingredienti e criminalizzarne alcuni non ha alcun senso, a meno di ritenere il consumatore un completo sprovveduto. Non riesco a pensare che il latte fresco di giornata con il quale nutriamo da sempre i nostri bambini possa ricevere il bollino rosso. Quello che fa la differenza è uno stile di vita e di consumo equilibrato, non il colore di un bollino. L’ alimentazione è un mosaico ed abbiamo bisogno di tutte le sue tessere». Punti di vista Il semaforo, in definitiva, rappresenta agli occhi degli italiani una sorta di comunicazione distorta, si parte dalla volontà dichiarata di dare maggiori informazioni al consumatore per aiutarlo a scegliere e in realtà lo si dirotta verso altri lidi. La querelle però è destinata a investire anche la rappresentanza d’ impresa perché le filiali italiane delle Sei Sorelle sono iscritte alla Confindustria e alle associazioni di categoria e dovranno uscire allo scoperto. Sarà interessante infine osservare come la Prima Guerra del Semaforo sarà decodificata dal consumatore finale che in Italia, secondo la stessa ricerca del Censis, nella scelta dei cibi da acquistare non guarda in primo luogo al prezzo ma privilegia il gusto, la trasparenza e la tutela della salute. In attesa di riscontri più robusti vale la pena ricordare come il Codacons nei giorni scorsi abbia ventilato addirittura il boicottaggio dei prodotti delle Sei Sorelle. Nessuno per ora lo ha preso sul serio ma nel grande conflitto del semaforo siamo ancora alle schermaglie.
Economia Corriere della Sera – 28 marzo 2017