Sull’integrazione delle cure e la continuità assistenziale Asl e ospedali sono promossi – con qualche riserva – e medici di famiglia rimandati a settembre per ancora scarsa integrazione con gli altri professionisti sanitari.
E’ in estrema sintesi il quadro offerto dalla ricerca su «Misurazione e valutazione dell’integrazione professionale e sulla continuità delle cure» promossa dalla Fiaso e condotta dalla stessa Federazione in partnership con il Cergas Bocconi. Uno spaccato quanto mai attuale dopo l’approvazione del cosiddetto “decretone sanità”, che chiede ai medici di medicina generale di aggregarsi e di “dialogare” maggiormente con i “colleghi” ospedalieri per garantire una presa in carico integrale del paziente, prima durante e dopo il ricovero.
La Ricerca, presentata oggi a Roma, costituisce la seconda fase del Laboratorio Fiaso sul Governo del territorio e analizza il livello di integrazione delle cure tra medici di famiglia, ospedalieri, specialisti ed infermieri per tre patologie croniche che richiedono una prevalenza di cure sul territorio: diabete in pazienti con danno d’organo, insufficienza respiratoria grave connessa a broncopolmonite, tumori in fase avanzata seguiti in assistenza domiciliare Integrata.
Il primo risultato dell’indagine – condotta su un campione di Asl rappresentativo – è che ad incidere positivamente sulla integrazione di medici ed infermieri e sulla continuità assistenziale percepita dai pazienti non sono tanto i diversi modelli organizzativi quanto piuttosto la presenza fisica dei professionisti nella stessa struttura, la gravità della condizione clinica dei pazienti e la maggiore apertura degli stessi professionisti verso l’integrazione.
In una scala di valori da 0 a 5 – calcolata “pesando” accessibilità dei servizi, qualità delle relazioni medico-paziente e unitarietà diagnostico terapeutica percepita dagli stessi assistiti – l'”indice di integrazione” è risultato pari a 3,24 per la cura del diabete, al 3,06 per le insufficienze respiratorie gravi connesse a BPCO e al 3,17 per i tumori. Gli indici di integrazione diventano però variabili se applicati a medici di famiglia e specialisti. Per il diabete i medici di famiglia non vanno infatti al di là del 2,40 contro il 4,03 degli specialisti, mentre il rapporto – sempre a vantaggio degli specialisti – è di 2,39 contro 3,65 per la le insufficienze respiratorie gravi e di 2,69 contro 3,68 per i tumori. Scarti dovuti soprattutto alla frequenza degli scambi informativi, mentre è buona sia per gli specialisti che per i medici di medicina generale la condivisione dei percorsi terapeutici. Anche se i medici di famiglia tendono a confrontarsi soprattutto con i medici ospedalieri e gli specialisti territoriali, mentre questi ultimi preferiscono comunicare tra loro o al massimo con gli infermieri, lasciando un ruolo un po’ marginale ai MMG. Decisamente insufficienti invece i sistemi informativi adottati da tutti i professionisti: solo il 2% utilizza la mail mentre la forma di comunicazione più utilizzata resta quella della cartella clinica o di altri strumenti cartacei portati direttamente dal paziente al momento della visita.
Riguardo l’offerta dei servizi delle aziende sanitarie e ospedaliere, anche se con elevata variabilità, tutte hanno strutturato percorsi organizzati per il diabete, pur con una rilevante componente ospedaliera rappresentata dai centri antidiabetici. Per quanto riguarda le insufficienze respiratorie gravi, quasi tutte le aziende presentano percorsi diagnostico-terapeutici formalizzati ma sbilanciati sul ruolo delle unità pneumologiche ospedaliere, con una scarsa integrazione tra queste e l’ambito territoriale. Integrazione quasi assente per i pazienti oncologici per i quali tutte le aziende garantiscono però una elevata intensità assistenziale, percepita positivamente dai pazienti. Nella scala da 0 a 5 l’indice di continuità assistenziale percepita è infatti pari a 4,42 per i pazienti oncologici, contro il 3,45 di quelli pneuomologici e il 3,52 dei diabetici. Valori – evidenzia l’indagine – che non sono però correlati all’effettiva integrazione dei professionisti e agli sforzi compiuti dalle aziende per garantire la unitarietà del percorso diagnostico-terapeutico. A prevalere nel giudizio sono infatti quasi esclusivamente i rapporti interpersonali – se non affettivi – tra medico e paziente.
La ricerca ha analizzato anche l’impatto dei processi di budgettizzazione sulla integrazione dei servizi e dei professionisti. Nonostante il budget sia uno strumento consolidato nelle Aziende la sua spinta propulsiva sembra in fase decrescente. Molti manager e professionisti – emerge dall’indagine – vivono il budget come una routine che impatta oramai sempre meno sul cambiamento della gestione. «Per questo il budget per il territorio necessita di innovazione organizzativa e strategica, passando da un modello tarato sulla struttura organizzativa ad uno di natura orientato alla realizzazione di percorsi diagnostici e terapeutici», sostiene Francesco Ripa di Meana, Dg della Asl di Bologna.
«La ricerca – commenta Valerio Fabio Alberti, presidente Fiaso – evidenzia che tanto più gravi sono le condizioni del paziente tanto maggiore è il coordinamento dei professionisti coinvolti. Il rischio è però di vedere destinata la maggior parte delle risorse ai pazienti con patologie oramai conclamate, limitando a interventi residuali l’investimento in prevenzione e monitoraggio». «La sfida per il futuro è invece quella di andare ad intercettare quei livelli di bisogno inespresso che non riescono a tradursi in domanda esplicita di servizi, programmando le strategie di inclusione in programmi formalizzati di assistenza e monitoraggio».
«Sempre che – conclude Alberti – le condizioni di sostenibilità economica del SSN non costringano le Aziende a ripiegare sull’essenziale rispondendo alla domanda di cura più che a quella, spesso inespressa, di salute».
«La ricerca – dichiara la vicepresidente Fiaso, Maria Paola Corradi – non vuole, ovviamente, liquidare in alcun modo il problema identificando le responsabilità dei soli medici di medicina generale, perché deve essere riconosciuto che diverse sono le condizioni operative ed organizzative in cui svolgono le loro attività rispetto, ad esempio, ai medici specialistici e, soprattutto, ospedalieri. Tuttavia a partire dal fatto che, a seguito dell’allungamento della vita, aumenta il peso della cronicità della malattia e che, contemporaneamente, a seguito della sviluppo della ricerca farmacologica, delle tecniche operatorie e delle tecnologie, si riduce il periodo di ricovero ospedaliero, è fuor di dubbio che vada ricercata una sempre più efficace continuità assistenziale, capace di assicurare, contemporaneamente, sia che il paziente non resti, neanche per poche ore, ‘abbandonato’ dal Servizio Sanitario Regionale, sia l’omogeneità delle terapie. Questo primario obiettivo può essere garantito, in primo luogo, dall’utilizzo sempre più appropriato delle tecnologie di comunicazione capaci di assicurare tempestivamente, 24 ore al giorno, per 7 giorni alla settimana, durante tutto l’anno, la necessaria prima assistenza sanitaria. E in questo senso si stanno muovendo diverse Asl, ad esempio nel Lazio, spingendo gruppi di giovani medici a consorziarsi per assicurare sempre la massima reperibilità».
«La ricerca – commentano Francesco Longo, Domenico Salvatore e Stefano Tasselli, coordinatori scientifici per Cergas Università Bocconi – ha raggiunto due obiettivi ambiziosi: da un lato ha calcolato alcuni indici sintetici di integrazione professionale tra professionisti clinici (medici di medicina generale e specialisti), tra professionisti e pazienti e infine tra dirigenti amministrativi all’interno delle aziende sanitarie italiane. Dall’altro lato ha contribuito a produrre, e offerto alle aziende, uno strumento metodologico di rilevazione di un tema, quale l’integrazione professionale, che è al centro delle agende di policy ma su cui è tendenzialmente sempre mancata una metrica condivisa di misurazione».
«In generale, – aggiunge Nicola Pinelli, direttore Fiaso – viene restituito un quadro di pratiche di assistenza territoriale che sanciscono lo sviluppo e l’orientamento dell’assistenza verso il territorio. In questo contesto, la valorizzazione e la motivazione delle risorse umane giocano un ruolo determinante. I progetti realizzati contribuiscono a sostenere la tesi di una buona sanità, governata da una reale revisione della spesa e dell’organizzazione aziendale, orientate a misurarsi con ciò che funziona in modo appropriato».
«La continuità assistenziale è condizione indispensabile per garantire in futuro la sostenibilità operativa ed economica del sistema sanitario», commenta infine il presidente del Cergas, Elio Borgonovi. Da qui l’utilità della ricerca, «che affronta la problematica in modo trivalente: sul piano della cultura unitaria della salute, su quello dell’appropriatezza e su quello della sostenibilità economica».
Sole sanità – 10 gennaio 2013