L’authority di vigilanza: opera affidata senza motivo a trattativa privata. A chi fosse alla ricerca di nuovi incubi consigliamo un’interessante lettura. È una delibera dell’authority che vigila sulle forniture pubbliche, dove si racconta nei dettagli la storia della sede dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), ente statale che gestisce ogni anno 700 milioni di euro.
E di come abbia fatto il conto, senza che nessuno battesse ciglio, a moltiplicarsi per sei: da 24 miliardi di lire (12 milioni di euro) a quasi 84 milioni e mezzo di euro. Quella delibera, approvata il 19 dicembre scorso, è il frutto di una indagine scattata dopo un esposto della Procura della Corte dei conti. E non è un caso che i suoi contenuti vengano ora citati in una relazione appena pubblicata dalla stessa magistratura contabile sulla gestione recente dell’Asi, dalla quale l’attuale presidente Enrico Saggese, ex dirigente di Finmeccanica ed esperto per lo spazio dell’ex presidente Pierfrancesco Guarguaglini, esce piuttosto ammaccato.
La vicenda ha inizio nel 1999. Per la nuova sede dell’Agenzia, allora presieduta da Sergio De Julio, già deputato della sinistra indipendente, viene individuata l’area della ex caserma Montello nel quartiere Flaminio di Roma, attigua a quella dove poi sorgerà il museo Maxxi. Il concorso internazionale lo vince l’architetto Massimiliano Fuksas. Siamo alla fine del 2000: il costo previsto è di 24 miliardi, più 3 miliardi e mezzo per il progetto.
Trascorre un anno, il governo di Silvio Berlusconi subentrato a quello di centrosinistra guidato da Giuliano Amato, sostituisce il presidente dell’Asi e la cosa inspiegabilmente si ferma. Le sollecitazioni di Fuksas rimbalzano nel vuoto mentre il tempo passa invano. Finché salta fuori un decreto ministeriale che riordina l’Agenzia. Tanto basta perché i nuovi vertici dell’ente chiedano più spazio e improvvisamente decidano di cambiare tutto: la nuova sede non si farà più al Flaminio ma vicino all’Università di Tor Vergata. La convenzione con il ministero delle Finanze firmata qualche anno prima finisce nel cestino insieme con tutto il lavoro di Fuksas. Il quale esplode: «Leggo che la sede si farà altrove, con un altro progetto. E loro? Cambiano luogo e architetti e non mi fanno nemmeno, dico, nemmeno una telefonata?». La vertenza che ne segue si chiude con il pagamento da parte dell’Asi di un milione 378.177 euro e 22 centesimi. «Un inutile dispendio di denaro pubblico», lo definiscono nella delibera i commissari dell’authority. Difficile dargli torto.
Ma il meglio deve ancora venire. Perché l’Agenzia, nota l’autorità, sostiene «l’indisponibilità in quel momento di competenze professionali adeguate a gestire una realizzazione della complessità della nuova sede». Ragion per cui affida tutto al Provveditorato alle opere pubbliche del Lazio, cioè di Angelo Balducci: lo stesso che anni dopo finirà travolto dalle inchieste sulla «cricca».
Per prima cosa il nuovo progetto viene affidato senza concorso. Se ne occupano i tecnici del provveditorato insieme ad alcuni consulenti esterni, fra cui lo studio di architettura 5+1 AA di Alfonso Femia e Gianluca Peluffo, l’ingegnere Camillo Nuti, l’architetto Annalaura Spalla, la geologa Donatella Pingitore… Con l’elaborato preliminare si arriva in un baleno a 43,3 milioni di euro, per raggiungere con quello definitivo i 61,8 milioni. Non è finita. Perché ci sono le inevitabili perizie di variante, e una serie di opere complementari, per qualcosa come una ventina di milioni fra impianti fotovoltaici e altro, che fanno lievitare l’importo a 84 milioni 434.755 euro e 65 centesimi. Cui vanno evidentemente sommati, fra l’altro, anche i soldi dei consulenti nonché quelli del progetto di Fuksas gettato alle ortiche con la motivazione che serviva molto più spazio. Ma era proprio così? L’authority di vigilanza ricorda che gli standard stabiliti dalle norme ministeriali per i dipendenti pubblici variano da un minimo di 9 a un massimo di 28,3 metri quadrati a persona. Nella nuova sede, pur calcolando la capienza massima, non si va al di sotto dei 43.
Ancora più singolare è quello che succede con l’affidamento dei lavori. Perché l’appalto viene segretato: ragioni di sicurezza, dice il presidente dell’Agenzia Sergio Vetrella, che a fine mandato sarà nominato senatore del Popolo della libertà e assessore della giunta di centrodestra della Regione Campania. Si procede perciò a trattativa privata fra le ditte «di fiducia» dell’amministrazione, cioè del Provveditorato di Balducci. E chi la spunta? La Sac, Società appalti costruzioni, finita anch’essa nelle inchieste sulla «cricca» per l’Auditorium di Firenze, una delle opere per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Un caso?
Di sicuro l’authority dice che quella segretazione non stava in piedi. Il rapporto ricorda che «il giudizio di segretezza spetta esclusivamente al ministro», mentre qui «si rinviene solo una nota del presidente, riportante la data del 4 agosto 2005, indirizzata al ministero delle Infrastrutture e non al ministero della Ricerca da cui l’ente dipende e che sarebbe stato l’organo deputato all’emanazione del provvedimento di segretazione». Non solo. «Da tale lettera si rileva l’indeterminatezza delle motivazioni addotte per la richiesta di segretazione… Tale comunicazione, senza peraltro un formale provvedimento da parte dell’organo preposto, è stata però ritenuta sufficiente per sottrarre l’opera alle ordinarie procedure di gara e aggiudicarla a trattativa privata».
Ma è solo il più ustionante dei molti pesanti rilievi dell’autorità, che vanno dalle consulenze, all’aggiramento delle regole, alla lievitazione abnorme dei costi. Se qualcuno ancora non ha capito come abbiamo fatto a ritrovarci addosso un debito pubblico mostruoso, può partire da storie come questa.
Sergio Rizzo – Corriere della Sera – 26 febbraio 2013