Roberto Giovannini. I giochi sono ancora tutti aperti. Ma a meno di due settimane dall’11 gennaio, giorno in cui la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità dei tre quesiti referendari proposti dalla Cgil con 3,3 milioni di firme, la Consulta sembra orientarsi verso la bocciatura del referendum più esplosivo, quello che riguarda le norme sui licenziamenti. Quello che farebbe resuscitare (se approvato dagli elettori) il celeberrimo articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori del 1970.
Sono solo voci, indiscrezioni, ipotesi; ma a quanto riferiscono fonti informate, sembra farsi strada la tesi dell’inammissibilità del quesito sui licenziamenti. Il complicato «taglia e cuci» degli articolati di legge andrebbe oltre l’abrogazione della norma della riforma Renzi-Poletti che ha reso possibile ai datori di lavoro licenziare liberamente, pagando una indennità economica (anziché obbligare a reintegrarlo nel posto di lavoro), un lavoratore impiegato in un’azienda con oltre 15 dipendenti. Il referendum sarebbe «propositivo», e dunque inammissibile dalla Consulta, poiché estende il diritto di recuperare il proprio posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo a tutti i dipendenti di aziende con almeno 5 impiegati. Una forte estensione della platea del mondo del lavoro tutelata dall’articolo 18 a milioni di imprese e lavoratori. Nessun problema, invece, per i due referendum «minori» sull’abolizione dei voucher e sulla responsabilità solidale per gli appalti.
Se queste indiscrezioni venissero confermate, sarebbe certo un brutto colpo per il sindacato guidato da Susanna Camusso. Che oggi, in un momento di grande incertezza politico-istituzionale, avrebbe uno strumento per cancellare quello che dal punto di vista politico e di «narrazione» viene considerato l’architrave del Jobs Act, ovvero l’abolizione dell’articolo 18. Tutti i sondaggi dicono che se si votasse davvero, i “sì” stravincerebbero: sarebbe una nuova pesante sconfitta per la maggioranza Pd-Ncd-Ala; per Matteo Renzi e Paolo Gentiloni; e naturalmente per Confindustria e tutti coloro che hanno plaudito alla ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro. Di converso, l’inammissibilità del quesito sull’articolo 18 sarebbe un bel favore per Palazzo Chigi e il Nazareno, che potrebbero cercare a quel punto di «sminare» anche il quesito sui voucher varando un giro di vite per limitare in modo radicale il ricorso a quello che si è rivelato uno strumento di precarizzazione.
Naturalmente bisogna attendere il verdetto ufficiale della Corte Costituzionale. E non solo per ragionevole prudenza: all’interno della Consulta sul referendum articolo 18 ci sono due fronti in netta contrapposizione. E anche se i fautori dell’inammissibilità per ora sembrano in maggioranza, le cose potrebbero cambiare.
Schierati per la bocciatura ci sarebbero ad esempio due giudici, per la loro storia politica e personale, vicini al centrosinistra: Giuliano Amato e Augusto Barbera, che a quanto risulta insistono nel dire che il quesito dovrebbe essere respinto come «propositivo», e perché riguarda materie non omogenee.
Non la pensano però così altri giudici, secondo cui già in passato (e in più occasioni) la Consulta ha giudicato ammissibili quesiti referendari «indirettamente propositivi», che innovavano la normativa. È il caso di alcuni referendum su materie elettorali. Di questa opinione sarebbero Franco Modugno, indicato dai Cinque Stelle nel dicembre 2015, ma anche Silvana Sciarra, una giurista del lavoro scelta dal Pd. Sciarra gioca in questa partita un ruolo molto importante: come relatrice, sarà lei a illustrare ai colleghi le problematiche da esaminare.
La Stampa – 28 dicembre 2016