Daniele Marini, Università di Padova. Manca una manciata di settimane all’Expo. Ci arriviamo avendo scoperto truffe e corruzioni, accumulato ritardi e rimpallato responsabilità. Insomma, seguendo il copione all’italiana: sparpagliati. Al netto di ciò, la manifestazione costituisce un’occasione importante, in particolare ora che i primi segnali di un cambiamento nelle tendenze economiche dell’Italia fanno capolino. In questo senso l’Expo è un’occasione che deve diventare un’opportunità.
Dobbiamo preoccuparci della sua riuscita, ma il successo sarà costituito da quanto saprà «gemmare»: centri di ricerca, know-how nei diversi settori economici, nuovi posti di lavoro, infrastrutture e logistica. L’Expo è sia un elemento di attrazione sia di propulsione per il «brand Italia». Ma se la manifestazione è nota negli ambienti istituzionali ed economici in che misura lo è presso la popolazione? E quali sono gli obiettivi che l’evento dovrà perseguire? L’Indagine LaST (Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo, per «La Stampa») ha sondato queste dimensioni, nell’idea che un evento di tale portata non possa non essere patrimonio della nazione.
Percezione superficiale
Non è un caso che si stiano moltiplicando le comunicazioni istituzionali e le pubblicità dell’iniziativa: effettivamente, pare vi sia bisogno di comunicare l’evento. Gli italiani che dichiarano di possedere una conoscenza approfondita dell’Expo non raggiunge un quarto degli interpellati (23,2%). Non si tratta di una quota marginale, ma la manifestazione non appare ancora un evento avvertito in modo esteso. Per la maggioranza (56,4%), invece, è noto, ma in modo superficiale. Infine, un quinto (20,4%) non ha avuto modo di seguire il tutto.
Al fine di testare il grado di conoscenza effettiva sono stati proposti alcuni slogan identificativi. Il 64,9% ritiene correttamente che il motto di Expo sia «Nutrire il Pianeta: Energie per la Vita», mentre il restante 35,1% sceglie opzioni errate. Se sommiamo quanti dichiarano, in modo approfondito o superficiale, di essere al corrente della manifestazione (79,6%), osserviamo come lo slogan sia noto in misura ancora inferiore (64,9%). Sommando le risposte, è possibile creare un profilo di conoscenza dell’Expo, da cui emergono tre tipologie.
La prima raffigura gli «Expo-nenti» (16,9%) e raccoglie quanti hanno seguito con attenzione il progetto e individuano lo slogan corretto. In questo gruppo s’incontra più facilmente la componente maschile, i più adulti (55-64 anni), gli imprenditori e chi possiede una laurea. Il gruppo più cospicuo è il secondo (45,8%): gli «Expo-sti», che hanno una conoscenza superficiale e riconoscono lo slogan. Qui troviamo le persone in età attiva (25-54 anni), i disoccupati e le casalinghe, i laureati e i residenti a Nord-Ovest. Il terzo gruppo è quello dei «Sotto-Expo-sti» (37,3%) e raccoglie quanti non hanno una conoscenza adeguata (o non ne hanno) e non sanno identificare neppure lo slogan. La componente femminile, i più giovani (meno di 24 anni) e i senior (oltre 65 anni), i pensionati e le casalinghe, chi ha un basso titolo di studio caratterizzano il gruppo. Indubbiamente, le preoccupazioni degli italiani sono concentrate su altri e ben più pressanti versanti. Ciò non di meno, uno sforzo maggiore di comunicazione dovrebbe essere realizzato, identificando i target più distanti dall’Expo (donne, giovani e senior, lavoratori, chi non risiede nel Nord-Ovest).
Obiettivi strategici
La manifestazione ha identificato alcuni obiettivi strategici da perseguire: anche su questi aspetti è stata sondata l’opinione degli italiani. Due sono gli obiettivi che emergono come prioritari. Da un lato l’Expo dovrebbe contribuire a far sì che tutti abbiano cibo e acqua a sufficienza (58,2%), rinviando così a un’ideale di equità globale. A questo si aggiunge l’altra priorità: l’utilizzo delle tecnologie al fine di trovare un corretto equilibrio tra disponibilità di cibo e consumo delle risorse (56,2%).
Va da sé che la manifestazione non potrà raggiungere simili traguardi. Ma l’auspicio è che l’Expo da un’occasione diventi un’opportunità, perché questi percorsi siano un tassello per una nuova cultura dello sviluppo.
La Stampa – 9 marzo 2015