Sul Codice degli appalti il ministro Salvini è stato costretto a fare dietrofront. Su pressione di Bruxelles, non a caso contestualmente con l’ok alla revisione del Pnrr, il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha diramato una circolare per definire meglio le procedure per l’affidamento delle gare appalto, specificando che le disposizioni contenute nell’articolo 50 del Codice degli appalti, una delle riforme inserite nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, vanno interpretate ed applicate nel solco dei principi e delle regole della normativa di settore dell’Unione europea, che in particolare richiama gli stati membri a prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di applicare procedure «aperte o ristrette».
In pratica bisogna favorire la concorrenza anziché possibili scelte unilaterali da parte dei committenti. Il risultato è che d’ora poi i comuni non potranno più avere mano libera negli appalti sotto la soglia europea dei 5,3 milioni di euro.
«La circolare con la quale il Mit interviene sulle procedure sotto soglia è una evidente marcia indietro del governo, e mostra che le nostre obiezioni erano fondate. Lo fanno con una circolare e non – come sarebbe stato necessario – con legge, ma rappresenta comunque un importante passo avanti» sostiene il presidente dell’Autorità anticorruzione, Giuseppe Busia.
In particolare, come spiega, l’Associazione nazionale dei comuni sul suo sito, le stazioni appaltanti potranno procedere all’affidamento sotto-soglia, anche senza consultazione di operatori economici e assicurando che siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze, solo per importi sotto i 150.000 euro e per l’affidamento diretto dei servizi e forniture (compresi servizi di ingegneria, architettura e attività di progettazione) sino a 140 mila euro. In alternativa le stazioni appaltanti potranno prevedere procedure negoziate senza bando consultando almeno 5 operatori individuati in base a indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, sia per i lavori di importo compreso tra 150.000 ed 1 milione, sia per l’affidamento diretto dei servizi e forniture sopra i 140 mila euro. Per importi sopra il milione dovranno invece essere consultati almeno 10 operatori.
Secondo Busia «prevedere che sia obbligatorio l’affidamento diretto per tutti i contratti sopra i 140 mila euro e che si arrivi ad assegnare i lavori fino ad oltre 5 milioni senza pubblicare neanche un avviso pubblico rappresentava una forzatura. Numericamente, si tratta infatti della stragrande maggioranza dei contratti. Significava che sarebbero stati sottratti alle più elementari forme di pubblicità, a danno di imprese e casse pubbliche. È infatti evidente che, se per spendere ben oltre centomila euro, l’amministrazione non deve neanche chiedere due preventivi, si rivolgerà alla prima impresa che capita, e questa non avrà alcun interesse a contenere la propria offerta».
Busia da subito aveva segnalato la forzatura inserita nel Codice degli appalti entrato in vigore a luglio. Ed oggi ricorda che «anche fuori dai casi di piccola o grande corruzione, è chiaro che ad essere premiato sarebbe stato il fornitore più “vicino” o quello già conosciuto, e non quello più bravo. Col risultato di spendere di più, avendo in cambio forniture e servizi di minore qualità o opere destinate a durare meno».
La novità è accolta positivamente dalle imprese. Secondo la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio, la circolare del ministero «chiarisce qualcosa che per noi era già molto chiara perché avevamo fatto una battaglia quando il codice era venuto fuori dal Consiglio di Stato: abbiamo fatto una battaglia politica e l’abbiamo vinta. Noi volevamo anche abbassare la soglia per l’evidenza pubblica, poi c’è stata una mediazione con Comuni e Mit per dare la libertà di andare con procedura aperta o negoziata». —
La Stampa