L’anticipo pensionistico volontario e quello aziendale hanno ormai accumulato quattro mesi di ritardo rispetto alla partenza prevista inizialmente per il 1° maggio e poi posticipata a più riprese. Si attende la firma del decreto del presidente del Consiglio dei ministri, che contiene le regole a completamento del quadro normativo definito con la legge di bilancio 2017 e poi integrate con il decreto legge 50/2017.
Oltre al Dpcm, che avrebbe dovuto essere emanato entro i primi giorni di marzo, devono essere ancora sottoscritte le convenzioni con Abi e Ania relative, rispettivamente, al prestito erogato al futuro pensionato per finanziare l’anticipo e alla polizza che copre il caso morte, a fronte del decesso del pensionato prima di aver completato il rimborso del finanziamento (il piano di ammortamento è di 20 anni, con possibilità di restituzione anticipata). Infine, l’Inps fornirà ulteriori indicazioni una sua circolare. Tenuto conto del percorso ancora da completare, è lecito ipotizzare che la domanda per gli anticipi volontari possa essere presentata, nella migliore delle ipotesi, non prima dell’inizio di ottobre.
Secondo le stime del governo, la platea potenziale di fruitori dell’Ape volontaria e aziendale nel 2017 sarebbe di 300mila unità. Immaginando un flusso di domande omogeneo significa circa 40mila richieste al mese. Con quattro mesi di ritardo si può ipotizzare che siano già 160mila i lavoratori alla finestra in attesa di indicazioni utili per valutare l’opportunità dell’operazione. Solo una volta definito il quadro regolamentare sarà possibile effettuare proiezioni definitive dei costi a carico degli interessati.
In compenso, di ritardo in ritardo, tra un po’ di tempo le persone interessate potranno almeno eliminare un elemento di incertezza che caratterizza l’Ape, cioè la sua durata, che è legata all’andamento della speranza di vita. L’anticipo previdenziale ha una durata minima di sei mesi e una massima di 43 mesi. Quindi, ignorando un’eventuale possibilità di chiederla con effetto retroattivo dal 1° maggio 2017 (opzione di cui si fatica a comprendere l’utilità), chi la richiederà nei prossimi mesi andrà in pensione nel 2018, quando per il trattamento di vecchiaia saranno necessari 66 anni e 7 mesi di età.
Per il biennio 2019-2020, invece, il requisito anagrafico sarà adeguato alla speranza di vita ricalcolata secondo i dati più recenti. Nelle scorse settimane è emerso che, in base alle proiezioni provvisorie, l’asticella dovrebbe salire a 67 anni, con relative polemiche sull’opportunità di applicare questo meccanismo automatico.
Proprio per “neutralizzare” questa incertezza, il Dpcm dovrebbe contenere una clausola per cui se dal 2019 il requisito aumenterà, anche la durata dell’Ape si allungherà automaticamente. Quindi, ad esempio, per chi richiederà l’anticipo da gennaio 2018, con fine prevista a gennaio 2019, se il requisito anagrafico passerà da 66 anni e 7 mesi a 67 anni, l’anticipo stesso automaticamente si allungherà di cinque mesi. Con conseguenze, però, sui costi dello stesso, perché l’Ape è un prestito a garanzia pensionistica. Quindi, più lungo è il periodo anticipato, maggiore è il costo del finanziamento che deve essere restituito con rate mensili trattenute sui primi 20 anni di pensione.
Dato che l’adeguamento alla speranza di vita valido per il biennio 2019-2020 deve essere fissato entro quest’anno, ai lavoratori interessati può forse convenire attendere ancora qualche mese prima di chiedere l’Ape volontaria, in modo da avere un quadro certo sulla sua durata. A meno che l’anticipo sia talmente lungo da estendersi al 2021, quando scatterà un altro adeguamento alla speranza di vita, che però verrà deciso entro il 2019.
Matteo Prioschi – Il Sole 24 Ore – 31 agosto 2017