La resistenza antimicrobica (Amr) uccide in Europa un centinaio di persone al giorno e in Italia rimane tra le più alte dell’area, con 11mila morti all’anno causate dai batteri invulnerabili ai farmaci. Lo ricordano gli esperti riuniti a Milano per un incontro sul tema, un’emergenza che nel nostro Paese fa registrare dati da “bollino nero”, denunciano, e nel cui contrasto l’Italia è oggi “in ritardo”. Il prezzo che si paga è anche economico, rimarcano gli addetti ai lavori, considerando che in Ue l’Amr costa ai sistemi sanitari 1,1 miliardi di euro all’anno, con un costo pro capite compreso nel nostro Paese tra 4,1 e 4,8 euro. Investire 1,5 euro pro capite all’anno in un piano di lotta alla resistenza antimicrobica eviterebbe invece circa 27mila decessi, di cui quasi un terzo soltanto in Italia, generando un risparmio di circa 1,4 miliardi di euro all’anno nei Paesi di Unione europea/Spazio economico europeo.
“È dimostrata una relazione stretta tra l’utilizzo di antibiotici in una popolazione e il tasso di batteri resistenti in quella popolazione”, sottolinea Ivan Gentile, professore ordinario di Malattie infettive e direttore della Scuola di specializzazione in Malattie infettive e tropicali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, e membro dell’Enaspoc (European Network for Antibiotic Stewardship at the Point of Care). Istituita nel 2022 e supportata da Abbott – spiega una nota – l’Enaspoc è una rete multidisciplinare europea che ha l’obiettivo di valutare e implementare soluzioni comprovate per combattere la resistenza antimicrobica. “In pratica gli antibiotici, oltre ad avere un effetto sul singolo individuo, hanno anche un’azione sull’ecologia dei batteri nella società”, precisa l’esperto. “Non sorprende, quindi – evidenzia – che l’Italia non solo sia uno dei Paesi con il più alto consumo di antibiotici, ma che vanti anche uno dei più alti tassi di resistenza in Europa”.
“Nel nostro Paese – analizza Gentile – la maggior parte degli antibiotici viene utilizzata a livello territoriale, dove sono assenti strumenti di precisione diagnostica, con un gradiente di utilizzo che aumenta da Nord a Sud, collocandoci al quinto posto tra i Paesi ad alto reddito più a rischio e con un consumo altissimo degli antibiotici ad ampio spettro, gravati da un maggior impatto sulle resistenze, rispetto altri Paesi europei. Uno degli interventi di più immediata attuazione, semplici ed economici, che possiamo mettere in atto – suggerisce l’infettivologo – è l’utilizzo a livello di cure primarie di test rapidi per la rilevazione della proteina C reattiva (Pcr), i cui risultati siano disponibili al momento della visita, in grado di orientare una più appropriata prescrizione”. L’uso di questi strumenti è stato oggetto di una Consensus conference di Enaspoc che si è svolta Bruxelles, alla presenza di clinici specializzati in malattie infettive e antibiotico-resistenza e stakeholder della sanità pubblica provenienti da tutta Europa, Italia compresa.
I batteri resistentii sono una minaccia a ogni età, anche nei bambini che in Italia – ricorda la nota – in 4 casi su 10 ricevono almeno una prescrizione di antibiotici all’anno. “Il ricorso eccessivo agli antibiotici è prevalente tra i bambini piccoli, soprattutto dai 2 ai 6 anni, anche se può portare a conseguenze negative per la salute, riducendo la diversità del microbioma – afferma la presidente della Società italiana di pediatria (Sip) Annamaria Staiano, professore di Pediatria all’Università Federico II di Napoli, direttore dell’Uoc di Pediatria del Policlinico Federico II e membro Enaspoc – È fondamentale quindi sensibilizzare le famiglie e i medici a un uso più appropriato di questi farmaci. Questo significa che i genitori dovrebbero evitare di ricorrere automaticamente agli antibiotici non appena il bambino manifesti un’alterazione febbrile e i pediatri dovrebbero utilizzare dispositivi di rilevazione della Pcr, che possano supportare la corretta prescrizione antibiotica, riducendola fino al 44%”.
Il problema è grave anche tra gli adulti, soprattutto nel Sud Italia con la Campania che fa registrare il più alto tasso di consumo di antibiotici pro capite. “L’uso eccessivo è la causa principale della drammatica situazione in cui si trova l’Italia in termini di resistenza agli antibiotici – concorda Silvestro Scotti, segretario generale della Fimmg, Federazione italiana medici di medicina generale – I test rapidi possono aiutare i medici ad arrivare a una diagnosi accurata e a un’azione più rapida contro le malattie infettive che non possono essere identificate solo dai sintomi”.
Per Scotti “è necessaria un’azione collettiva su più fronti per affrontare l’Amr”. Perché “pur sapendo cosa è necessario fare, è ora fondamentale intervenire tutti insieme – decisori, autorità sanitarie e operatori della salute – per definire una strada concreta volta a un migliore utilizzo degli antibiotici”. Queste le proposte del segretario Fimmg: “Dobbiamo mettere a disposizione delle Aggregazioni funzionali territoriali (Aft) o delle farmacie collegate agli studi medici i dispositivi per il test della Pcr, come è stato fatto con successo in altri Paesi europei, e supportare gli operatori sanitari con una formazione specifica; a livello di sistema, dobbiamo garantire un flusso costante di informazioni tra i prescrittori e le autorità sanitarie preposte alla sorveglianza; a livello di opinione pubblica, dobbiamo sensibilizzare i cittadini sui rischi di un consumo eccessivo di antibiotici. Oggi in Italia abbiamo 8 milioni di euro già stanziati per l’Amr e 255 milioni non ancora spesi per la diagnostica su obiettivi precisi come la lotta all’antibiotico-resistenza”. Secondo Scotti, “questi fondi potrebbero essere destinati a un progetto pilota, in regioni selezionate per attuare queste azioni concrete”