di Nicoletta Dentico (esperta di salute globale). Nel sesto appuntamento della loro cooperazione trilaterale, Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e Organizzazione Mondiale sulla Proprietà Intellettuale (OMPI) hanno indetto a Ginevra alla fine di ottobre un simposio tecnico per discutere la nuova epidemia assurta dopo anni (la prima risoluzione dell’Oms sul tema risale al 1997!) al rango di priorità: la resistenza dilagante agli antibiotici, sul cui funzionamento poggia ormai la maggior parte degli interventi e delle procedure della medicina moderna.
L’incontro puntava a migliorare la comprensione della sfida globale ed esaminare possibili soluzioni operative.
La resistenza si dà ogni qualvolta i batteri, i virus, i parassiti o i funghi riescono a mettere in campo le resistenze ai farmaci in uso per trattare le infezioni che questi agenti producono. Le sue cause sono complesse, intrecciate fra loro, legate poi a doppio filo alle dinamiche della globalizzazione. Solo in Svizzera, nel 2013, si calcolavano 800 vittime dell’inefficacia antibiotica. I dati sui pazienti ospedalizzati negli USA indicano oltre 63.000 morti ogni anno. Sicuramente la questione rimanda all’inappropriata somministrazione dei farmaci. Il consumo globale di antibiotici è salito del 36% tra il 2000 e il 2010, un incremento scientificamente non giustificabile. Nel suo intervento, Evelina Tacconelli (TREAT Project, Università di Tubinga) ha riportato un uso improprio di antibiotici in Italia, Israele e Germania nell’ordine fino al 79%. D’altro canto, parlando a nome del Brasile, Lucas Sversut ha suggerito di evitare inutili politiche restrittive, soprattutto nei paesi in via di sviluppo: qui la mancanza di accesso agli antibiotici uccide assai più della resistenza stessa.
Un’altra, ben più consistente, radice del problema sta nell’abuso degli antibiotici in ambito agricolo e industriale, per l’acquacultura e l’orticultura, ha ribadito con forza Jorgen Schlundt (Nanyang Technology University, Singapore). Negli USA, più del 70% degli antibiotici serve per gli allevamenti industriali e circa il 50% della carne venduta al banco nei supermercati contiene batteri resistenti (Berkeley University, 2013). Nel giugno 2014 la Health Agency britannica ha lanciato la campagna “Never wash raw chickens” (“mai lavare polli crudi”), per evitare la dispersione in acqua di questi batteri.
Al netto di queste prime allerte, sono tutt’altro che rosee le proiezioni: fino al 2030 si prevede un incremento del 67% nel ricorso agli antibiotici per accelerare la crescita e immissione sul mercato delle carni.
La diagnosi appare condivisa. Siamo alla vigilia di un’era post antibiotica, cioé di una minaccia fondamentale alla salute umana, alla sicurezza e allo sviluppo globale, come recita la Dichiarazione dell’High Level Meeting, tenutosi a New York su questo tema per volere del Segretario Generale dell’ONU, in concomitanza con l’Assemblea Generale. Non a caso, il paragone evocato più volte a Ginevra è stato con i cambiamenti climatici.
Il dibattito sulle proposte di soluzioni invece sapeva francamente di pane raffermo, a fronte della magnitudine del problema. Gli argomenti un po’ stantii sul fallimento del mercato, sulla scarsità di incentivi al settore privato declinati ogni volta ad accomodare le specificità delle singole malattie, non hanno tenuto conto della ricerca di base che impegna già la comunità scientifica, aprendo le porte alla esplorazione di possibili nuovi paradigmi di soluzione basati sulla manipolazione dei geni, come si fa per la ricerca sui farmaci antitumorali. L’OMS, che dovrebbe seguire questi percorsi, ha deciso invece di imbarcarsi nell’ennesima partnership con Drugs for Neglected Diseases Initiative (DNDi), sostanzialmente delegando un’impresa così sfidante.
Anche sotto il profilo finanziario, i 2 miliardi di dollari in più all’anno, per cinque anni, richiesti dal team britannico voluto da David Cameroon nel 2014 – il team ha avviato un’indagine sulla resistenza agli antibiotici (Review on Antimicrobial Resistance) volta a sviluppare un’analisi economica del fenomeno e costruire il consenso su un’azione globale – paiono poca cosa a stimolare davvero la ricerca pubblica di base, su scala globale. La sensazione è che se non si affronta con coraggio e visione la resistenza antimicrobica, tema decisivo per le sorti future della salute globale, non ci sarà da sorprendersi se poi si replicherà quanto succede oggi con l’Epatite C. Chiunque troverà una soluzione viabile potrà decidere il bello e il cattivo tempo, sia in termini di prezzo, che di accesso alla cura. Allora sì che il costo sarà insopportabile!
Il Sole 24 Ore sanità – 15 novembre 2016