Siamo finalmente giunti al paradosso. Un giorno la politica si sveglia, si accorge che manca personale sanitario per garantire il funzionamento del Servizio sanitario regionale e si domanda stupita: perché? Allora inizia il tam tam del rimpallo di responsabilità tra livello nazionale e regionale cancellando con un colpo di spugna la storia del governo amministrativo che ha portato all’empasse attuale.
C’è chi afferma che i concorsi sono disertati: quindi arriviamo al paradosso che è colpa dei medici se mancano medici. Colpa loro che non vogliono lavorare nel servizio sanitario pubblico e preferiscono andare all’Estero.
Eppure non sono stati i medici ne tantomeno gli altri livelli professionali della sanità a governare le aziende del Servizio sanitario regionale ma i manager che la politica ha scelto e legittimato.
Che si tratti di una selettiva malattia neurodegenerativa che impedisce a chi ha sinora governato di ricordare che per anni sono state perpetuate politiche di tagli al personale e blocco del turnover?
A tutt’oggi non è dato di sapere compiutamente quale sia il livello di burnout del personale delle aziende del Ssr e lo stato di attuazione della legge 81/1998, che impone la rilevazione dello stress lavoro-correlato, e quali siano state le strategie adottate per correggerlo.
Nonostante il personale sia stato ridotto e il livello di difficoltà organizzativa sia aumentato sono stati costantemente incrementati negli anni gli obiettivi prestazionali con conseguente usura delle risorse umane.
I medici sono stati più volte oggetto di campagne mediatiche che insinuavano malpractice con l’effetto di alimentare il già preoccupante contenzioso che ha creato la lievitazione dei costi assicurativi, ormai insostenibili per chi esercita alcune discipline. In parallelo c’è stato il pullulare di paladini legali a difesa dei diritti risarcitori dei cittadini che la Bonaccorti istruisce quotidianamente nel silenzio della politica.
Chi ha generato quindi i costi che derivano dalla medicina difensiva, chi paga, cui prodest? Ma soprattutto chi paga i costi della risorsa umana usurata e improduttiva perchè stressata e demotivata?
La risposta purtroppo è che il costo lo pagano i pazienti inconsapevolmente manipolati a distorcere il fulcro delle responsabilità sul personale sanitario.
La dirigenza medica non vede il rinnovo dei contratti da 10 anni grazie anche alle regioni che non hanno accantonato le risorse economiche necessarie al rinnovo dei contratti. Non solo, si è marginalizzato negli anni il merito lasciando spazio alla crescente consapevolezza che l’impegno e la cultura non incidono nella selezione concorsuale e nei percorsi di carriera quanto il favor della politica.
Gli obiettivi di salute sono stati ridotti ad obiettivi economici che hanno trasformato i malati in numeri e tariffe che devono essere remunerativi, frustrando a fondo l’etica professionale e la storica alleanza del medico con il malato.
Una politica miope e autoreferenziale ha definito l’offerta formativa in modo sconnesso rispetto al fabbisogno di specialisti. La conseguenza è che molti giovani medici sono stati privati dell’opportunità di specializzarsi e quelli che ci sono riusciti sono insufficienti a coprire il turnover anche perché preferiscono lavorare in altri Paesi dell’Europa dove sono pagati meglio e promossi per impegno e competenza.
In questo contesto politico gestionale ci si chiede perché i concorsi vadano deserti. Perché ci sia la fuga dei professionisti dal Servizio sanitario pubblico e la scelta di migliaia di giovani medici di emigrare per realizzarsi professionalmente.
Crediamo che debba esserci un limite anche all’ipocrisia comunicativa, sperando che di questo si tratti perché le ipotesi alternative sarebbero ancora più preoccupanti.
La segreteria regionale Fvm
4 febbraio 2019