La pensa così Dino Rossi, presidente del Cospa, che racconta come l’anemia equina sia una malattia infettiva dei cavalli accantonata «dai veri veterinari» nel lontano 1954.
«Per i professionisti di allora, per il ministero della salute, e per gli istituti zoo-profilattici», ricorda Rossi, «la malattia fu ritenuta di poca rilevanza, in quanto non pericolosa per l’uomo e neanche per il cavallo stesso».
Oggi a distanza di cinquant’anni è stato lanciato un nuovo allarme: «la scusa», spiega il presidente del Cospa, «è quella di salvare i cavalli» ma la realtà sarebbe ben diversa e qualcuno l’avrebbe ritirata fuori, sostiene sempre Rossi, per «crearsi lo stipendio».
«Qualche buontempone ha informato il Ministero della salute, il quale non aspettava altro per riesumare un caso morto e sepolto».
Da ricerche fatte, le Regioni con casi epidemiologici accertati sono riconducibili all’Abruzzo, Molise, Lazio ed Umbria.
In seguito, il Ministero nel 2007, ha predisposto per le regioni interessate il piano di sorveglianza per l’eradicazione dell’anemia equina. «Ad oggi», assicura ancora Rossi, «nulla è stato fatto, in quanto nella zona di Ofena e Navelli sono stati riscontrati casi positivi. Come è possibile che a distanza di due anni non sia stata ancora debellata la malattia? I cavalli ai quali è stato predisposto l’abbattimento erano animali sani in quanto i proprietari a loro spese avevano ottemperato all’ordinanza sopracitata. Quello che non si comprende è che agli altri animali le analisi vengono fatte a spese dallo stato, mentre per i cavalli sono proprietari a dover affrontare le spese di profilassi. Ora gli allevatori dell’aquilano sono costretti a pagare lo sbaglio degli altri, che nessuno rimborserà».
Il Cospa Abruzzo nota una disparità di trattamento tra allevatori e «una velata speculazione economica e tante omissioni d’ufficio».
13 dicembre 2010