di Paolo Virtuani. Tra i cinque grandi «mostri» che minacciano la salute del mare — acidificazione, pesca eccessiva, plastica galleggiante, aumento del livello e riscaldamento dell’acqua — l’acidificazione è quella più sottovalutata e meno conosciuta. Ma è anche la più subdola e pericolosa. Il tema della Giornata mondiale degli oceani, che si celebra oggi, è «i nostri oceani, il nostro futuro». Un futuro che l’aumento dell’acidità del mare mette seriamente a rischio. L’acidificazione è provocata dall’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera. La CO2 si dissolve nell’acqua sotto forma di acido carbonico, questa fa aumentare l’acidità (pH) dell’acqua. Negli ultimi 150 anni, il pH è sceso da 8,25 a 8,14 con un aumento dell’acidità del 30% circa, secondo uno studio di Donald Penman dell’Università della California Santa Cruz pubblicato sulla rivista specializzata Paleocenography . Se continua così, a fine secolo gli oceani arriveranno a 7,8 pH.
«L’acidificazione provoca danni lungo tutta la linea biologica marina», spiega Sandro Fuzzi, ricercatore dell’Istituto delle scienze dell’atmosfera (Isac-Cnr). «Plancton, coralli e molluschi sono i primi a risentirne ma è l’intera catena alimentare a subirne, a cascata, le conseguenze». Le barriere coralline sono già sottoposte a sbiancamento dovuto all’acidificazione e all’aumento della temperatura dell’acqua. Geraint Tarling del British Antarctic Survey nel 2008 è stato il primo a riscontrare il dissolvimento, avvenuto nell’oceano Antartico, dei gusci di alcuni piccoli organismi (pteropodi), lo stesso fenomeno è stato ora confermato davanti alle coste del Pacifico degli Stati Uniti. «Noi crediamo che il problema dell’acidificazione sia un fatto lontano», ha ammonito Francis Chan, dell’Oregon State University, che ha guidato lo studio pubblicato il 31 maggio su Nature Communications . «Invece si verifica adesso davanti ai nostri occhi».
Proprio come avviene qui e ora, nel Mediterraneo, l’ingestione della plastica da parte dei cetacei. Lo ha dimostrato una ricerca del Wwf nel mar Ligure con biopsie su tessuti prelevati da circa cento esemplari di cetacei: globicefali e capodogli sono i più contaminati.
Il Corriere della Sera – 8 giugno 2017