I veterinari USA dell’APHIS evidenziano un potenziale nuovo serbatoio di Covid-19 negli animali selvatici, che tuttavia possono venire spesso a contatto con l’uomo. Questo pone le basi delle zoonosi inverse, già osservate nei visoni, negli animali esotici degli zoo, e nei pets in ambiente urbano. In particolare, è stata effettuato uno studio di sieroprevalenza nel cervo dalla coda bianca (Odocoileus virginianus) per la sierosorveglianza sulla base di considerazioni di suscettibilità all’infezione: questi cervi hanno recettori ACE2 con alta affinità per SARS-CoV-2, sono permissivi alle infezioni, mostrano una diffusione virale sostenuta, possono trasmettere a conspecifici e possono essere abbondanti vicino centri urbani. Su 624 campioni di siero pre e post-pandemia di cervi selvatici da quattro stati degli Stati Uniti per l’esposizione a SARS-CoV-2, gli anticorpi sono stati rilevati in 152 campioni (40%) dal 2021 utilizzando un test di neutralizzazione su virus surrogato.
Da domandarsi, al di là delle estemporanee proposte di biomonitoraggio nei mammiferi marini, se tale suscettibilità sia da estendere anche ai caprioli ed altri cervidi autoctoni all’interfaccia urbana/rurale. Le risorse nella rete veterinaria non mancano… in chiave one health, anche in termini di modellistica predittiva.
30 luglio 2021