Il rischio da evitare Il testo varato non scioglie l’equivoco che negli anni ha fatto esplodere i conflitti di attribuzione davanti alla Consulta. Un correttivo semplice, che riporta fra le competenze esclusive dello Stato quelle su «ambiente ed ecosistema» e cancella il rischio di ricreare sul versante ambientale il pasticcio che la riforma prova a risolvere sui temi delle infrastrutture e delle reti di trasporto ed energia.
L’emendamento è nato all’interno della stessa maggioranza ed è firmato da Giuseppe Marinello, senatore dell’Ncd e presidente della commissione Ambiente di Palazzo Madama. Il correttivo, che nei giorni scorsi era stato chiesto anche da deputati del Pd (per esempio Enrico Borghi, della commissione Ambiente della Camera) e da 19 associazioni ambientaliste, da Wwf a Italia Nostra, dal Touring club a Legambiente, dovrebbe quindi rientrare tra i «possibili ritocchi» d’Aula su cui anche il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi ha manifestato nei giorni scorsi l’apertura del Governo. La questione, apparentemente tecnica, è in realtà cruciale, perché se non viene corretta rischia di vanificare una fetta importante del riordino già approvato in prima commissione al Senato per superare le paralisi prodotte dal federalismo costituzionale nato nel 2001. Vediamo perché.
Nel testo varato dalla commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, allo Stato viene assegnata la competenza esclusiva sulle «disposizioni generali e comuni su ambiente ed ecosistema», lasciando tutto il resto alle Regioni. Queste «disposizioni generali e comuni», come hanno sottolineato già ieri alcuni interventi anche di area Pd nella discussione generale in Aula sulla riforma, sono però una categoria giuridica inedita, che non permette di tracciare un confine chiaro fra le scelte che spettano allo Stato e quelle che invece toccano alle Regioni. Tredici anni di esperienza “federalista” mostrano che la divisione incerta delle competenze è il terreno ideale per coltivare poteri di veto e conflitti costituzionali, e quindi per bloccare le decisioni. Ad aggravare questo quadro c’è il fatto che l’ambiente è materia complessa, che evidentemente incrocia le politiche sugli interventi infrastrutturali e sull’energia, oltre che il più generale «governo del territorio». In questa chiave, allora, rischierebbe di perdere drasticamente efficacia la decisione di riportare al centro competenze come le «infrastrutture strategiche», le «grandi reti di trasporto», i porti e gli aeroporti oppure l’energia, che il Titolo V approvato nel 2001 assegnava alla «competenza concorrente» con un errore riconosciuto
Il Sole 24 Ore – 16 luglio 2014