«E il governo ci ha anche tolto 40 milioni». No, no e (forse) ancora no. Luca Zaia non firma. «Alle prese in giro io non ci sto» sentenzia il governatore e quindi il decreto della protezione civile che dovrebbe ri-nominarlo commissario per l’alluvione in Veneto, dopo la fase intermedia condotta dal prefetto di Verona Perla Stancari (Zaia era già stato commissario nell’emergenza), verrà rispedito al mittente, a Roma, senza il via libera di Palazzo Balbi.
«Vedremo se formuleranno un’altra proposta – spiega il governatore – o se decideranno di andare avanti comunque, d’imperio, senza che sia stata trovata l’intesa». Nel frattempo resta il vuoto: gli uffici dovranno procedere con l’ordinaria amministrazione, senza una guida istituzionale.
Il perché di questo ennesimo conflitto aperto con il governo Monti, lo spiega lo stesso Zaia, precisando che «non vi è alcuna ragione politica», come potrebbe far pensare il cannoneggiamento quotidiano della Lega sul premier, si tratta di una querelle meramente tecnica: «Premesso che contrariamente a quel che aveva annunciato qualcuno (il sindaco di Vicenza Achille Variati, ndr.) non è mai stato firmato alcun decreto che mi assegnasse poteri speciali nella gestione post alluvione, stiamo ancora attendendo il provvedimento per il passaggio delle consegne dal prefetto Stancari, il cui mandato è scaduto il 30 novembre, al sottoscritto. O meglio, stiamo attendendo un provvedimento che contenga quel che noi abbiamo richiesto, ossia i poteri speciali utili a sveltire la realizzazione delle opere anti catastrofe, a cominciare dai bacini di laminazione». Il governo non ci sente: da tempo ha stabilito che, salvo rarissime eccezioni, le gestioni commissariali non saranno rinnovate e, nel caso specifico dell’alluvione in Veneto, non solo non saranno prorogati i poteri derogatori in materia ambientale e di esproprio, ma dovrà pure essere smantellata la squadra del commissario che da due anni si sta occupando della vicenda, in tutto nove persone. «A questo, già di per sé inaccettabile – continua Zaia -, si aggiunge il fatto che lo schema di accordo inviatoci da Roma non ci permette di dirottare sulle opere i 40 milioni di euro risparmiati nei risarcimenti ai privati ed alle imprese». La tesi del governo, sostanzialmente, è: quei denari li ha messi lo Stato, dunque se non sono stati utilizzati, allo Stato devono tornare. E’ il paradosso della «virtuosità punita», arcinoto a queste latitudini.
Zaia lo ribadisce più volte nel corso dell’incontro con i giornalisti: è «indignato». Per due ragioni: «La prima è che questo schema di accordo viola il rapporto di fiducia tra il Veneto e lo Stato. Ogni atto che abbiamo firmato in materia di alluvione è passato al vaglio della Corte dei conti, abbiamo dimostrato di saperci fare, con competenza. E allora perché negarci i poteri speciali che ci permetterebbero di mettere in sicurezza il nostro territorio? Che paure hanno?». La seconda ragione, invece, attiene al messaggio: «Nel momento in cui firmerò l’intesa e i poteri verranno trasferiti dalla Stancari al sottoscritto, i veneti penseranno: benissimo, ora Zaia ha l’arma per fare i bacini. E invece così non è, perché quei poteri speciali non me li vogliono dare. E allora mi spiace tanto ma io non ci sto a fare il capro espiatorio». La conseguenza è che la macchina chiamata a realizzare i bacini di Caldogno e di Trissino, di Fonte e Riese Pio X, di Prà dei Gai e Montebello, di Torri di Quartesolo e Vicenza, di Soave e Montecchia di Crosara e Sant’Urbano (262 milioni di euro il totale) non si fermerà ma certo dovrà procedere a marce ridotte. A meno che il capo della protezione civile Franco Gabrielli non riesca a convincere il governo ad allargare le sue maglie: «Non ce l’abbiamo con Gabrielli – chiude Zaia – sappiamo benissimo che è stritolato da logiche economiche che gli vengono imposte dall’alto. Ma a queste condizioni la mia risposte è e rimane: no».
Marco Bonet – Corriere del Veneto – 15 dicembre 2012