Inserisce la chiavetta nel distributore automatico, digita il codice del caffè espresso e attende paziente che il liquido nero sia distillato nel bicchiere di plastica. Il caffè delle tre e mezza, la «benzina» per carburare fino a sera, costa a Laura (nome di fantasia) cinque minuti di pausa e un timbro sul cartellino: «Il pronto soccorso, il mio reparto, è a pochi metri da qui e ci metto trenta secondi ad arrivare alle macchinette del caffè – assicura l’infermiera urgentista – L’obbligo di timbrare? È l’ennesima coercizione verso noi dipendenti. Pensano di colpire il singolo che se ne approfitta complicando la vita inutilmente a tutti gli altri onesti».
Fra sarcasmo e fatalismo, all’ospedale San Bassiano si affronta così la crociata della dirigenza dell’Usl 3, il cui direttore generale Antonio Compostella la scorsa settimana ha diramato una circolare per ribadire che qualsiasi assenza dal posto di lavoro (compresi «pausa sigaretta, pausa caffè ai distributori automatici o al bar») dev’essere autorizzata dal responsabile di reparto, con tanto di «timbratura» e «ri-timbratura» del cartellino. Per chi sgarra, c’è lo spauracchio della «responsabilità disciplinare» che può arrivare a una sanzione per «danno patrimoniale» all’azienda sanitaria. Tutte norme, sostiene Compostella, già comprese nei contratti di lavoro e semplicemente mai applicate.
Ma al bar dell’ospedale di Bassano del Grappa, nel Vicentino, i sorrisi tirati tradiscono un certo nervosismo. Non dovuto solo ai troppi caffè bevuti.
«Dobbiamo ancora capire se i minuti di pausa ci verranno sottratti dal conteggio delle ore di lavoro – ragiona un giovane infermiere al capannello dei colleghi in pausa – Quando sforo le sei ore canoniche e resto dieci minuti in più, nessuno me le conteggia. Figuriamoci, tutti straordinari non pagati che passano in cavalleria. E allora perché mi togli i dieci minuti di cui ho diritto per staccare la spina?».
C’è da dire che dall’ospedale San Bassiano difficilmente si scappa. L’edificio, un’astronave in cemento atterrata alla periferia della città, è circondato da campi e parcheggi. Come dire che un’ipotetica fuga a metà turno comporterebbe il dover prendere l’automobile, uscire dal parcheggio. Insomma, farsi notare. Così la via maestra per l’agognata pausa è l’unico bar che si trova al piano terra, dove passano tutti. Lì dentro, l’imboscato non passa inosservato.
«Se vieni prima delle dieci di mattina ti rendi conto dell’effetto che ha avuto quella circolare del direttore generale», sussurra un’infermiera. «Prima al bancone c’era la ressa, adesso è un deserto».
Nei corridoi se ne parla come di una novità assoluta. Con buona pace di Compostella che, agli occhi dei dipendenti dell’Usl 3, si è cucito addosso la stella da sceriffo. C’è anche chi cerca una mediazione, come il coordinatore di reparto del Suem, Daniele Spanio: «Al personale non è piaciuta neanche un po’ – ammette – eppure la circolare non toglie il diritto alla pausa, ma mette una regola. Per il dipendente è una tutela: se lavoro all’ultimo piano e per andare al bar ci metto mezzora, posso giustificare al mio superiore l’assenza».
Per far digerire tutto ciò, far sparire i musi lunghi e applicare in modo «umano» la norma sono già in calendario riunioni in ogni reparto. Intanto si sopravvive con l’ironia: «Ho sul groppone centottanta ore di straordinario – considera un coordinatore di reparto, tazzina alla mano – Che vuoi che mi cambino cinque minuti in più o cinque in meno…».
Giulio Todescan – Il Corriere del Veneto – 12 novembre 2014