Tira un’aria gelida di livore, di scoramento e incredulità per la lentezza con cui il paese reagisce al knock down del sisma e della nevicata più intensa che si ricordi, almeno da molti anni a questa parte. Centinaia di frazioni a cavallo tra quattro regioni, decine di migliaia di persone restano isolate nelle loro case o nei loro paesi in attesa che arrivino i soccorsi, rallentati dalla vastità e dalla gravità dell’emergenza.
Almeno ottantamila persone, secondo i dati del coordinamento della protezione civile, restavano ieri sera ancora senza luce, e la gran parte avrà trascorso la seconda notte a lume di candela. Sono saltati i tralicci dell’alta tensione travolti dagli alberi abbattuti dalla bufera, le stazioni di trasformazione sono collassate e la rete gelata ha ceduto qua e là spegnendo il riscaldamento elettrico, che con questo gelo è un salvavita.
Sulle strade secondarie del comune di Amatrice, ecco finalmente le turbine chieste dal sindaco per spalar via i metri di neve accumulati in questi giorni, e per raggiungere le frazioni isolate liberando i sequestrati in casa. Una condizione pericolossima perché se ti fai – o ti senti – male i soccorsi non sono in grado di raggiungerti. Ma Amatrice e le sue 69 frazioni sono un puntino nella mappa di questa nuova emergenza che si estende oltre la somma dei crateri del 24 agosto e del 30 ottobre. Ci sono situazioni critiche a Montemonaco e Acquasanta, a Colle di Arquata, Montegallo e Roccafluvione nell’ascolano. Camionisti intrappolati, famiglie sepolte dalla nevicata nell’auto in cui si erano rifugiate dopo il terremoto. Gli allevatori, poi: rintracciarli, aiutarli e liberarli dalla neve è stata una vera corsa contro il tempo, e qualcuno deve ancora essere raggiunto. Senza contare i loro animali, affamati e infreddoliti: portar loro cibo e persino acqua, perché quella corrente è gelata e non arriva, è una sfida molte volte già perduta.
Ma questa gran corsa a chiudere le stalle a disastro avvenuto fa infuriare i sindaci, soprattutto quelli lasciati indietro a fronteggiare la frustrazione e la furia dei concittadini che non riescono a trovare chi gli spali la strada o risolva piccoli, enormi problemi. E sono ferme anche le aziende paralizzate dal maltempo, dalle strade chiuse e dalla mancanza di corrente elettrica. Per intere valli non trovi un bar aperto, gli alimentari esauriscono le scorte a porte chiuse, per non lasciare a secco i clienti e i compaesani senza alternative. Nei comuni, le strutture allestite dopo i terremoti di agosto e ottobre sono state riaperte e si sono riempite di brandine.
Ma è lo sconforto, la delusione, la cifra del sentimento collettivo: perché se i terremoti non si possono prevedere, le forti nevicate “non possono essere la nostra condanna definitiva”.
Repubblica – 20 gennaio 2017