Marco Bresolin. Due mesi di tempo per trovare 3,4 miliardi di euro, la critica alla «vulnerabilità» del settore bancario, il rimprovero per la frenata nel processo di riforme e l’allarme per i rischi legati alle eventuali ripercussioni sull’eurozona. Non è per nulla edificante il quadro disegnato dalla Commissione europea sulla situazione economica italiana. Ma Pier Carlo Padoan, in uno slancio di ottimismo, prova a vedere il bicchiere mezzo pieno: «L’Ue apprezza l’ampiezza delle riforme avviate e realizzate dal governo in questi anni». Il ministro ammette però che «dobbiamo fare di più» e che «l’aggiustamento dei conti è nell’interesse nazionale».
Come previsto, ieri Bruxelles ha pubblicato il report sul debito eccessivo italiano, in aggiunta al rapporto-Paese e a un esame sugli Stati che presentano «squilibri economici». Tra i quali figura anche l’Italia. Alla fine si è deciso di concedere a Roma più tempo per effettuare la correzione dei conti pubblici al fine di ridurre il deficit strutturale dello 0,2% del Pil (appunto 3,4 miliardi).
Bruxelles è disposta ad attendere fino ad aprile, ma se entro la fine del mese non saranno adottate misure «credibili», a maggio – dopo la pubblicazione delle previsioni economiche primaverili – potrebbe scattare la procedura per deficit eccessivo. La Commissione lo scrive chiaramente. Lo «sforzo strutturale» di due decimali è «il minimo richiesto» per correggere la rotta e riportare i conti pubblici entro i margini della «sostanziale conformità» rispetto alle regole del Patto di Stabilità. La Commissione registra infatti che il debito pubblico ha raggiunto quota 132,3% nel 2015 e l’Italia «non ha fatto sufficienti progressi» per raggiungere gli «obiettivi di riduzione».
Il rischio, più che concreto, è di violare la regola sia nel 2016 che nel 2017 (le stime dell’Ue lo danno oltre il 133%). Tutto questo, come ha voluto precisare il commissario all’Euro Valdis Dombrovskis, dopo che la Commissione ha «già pienamente scontato i costi per la crisi dei rifugiati e per il terremoto», spese eccezionali che nel 2016 hanno avuto un impatto dello 0,4% del Pil. Non ci sono attenuanti, dunque.
Ancora una volta, poi, Bruxelles mette il dito nella piaga della situazione politica italiana. Lo aveva già fatto nel documento allegato alle previsioni economiche, quando aveva evidenziato i rischi per la crescita (la più bassa dell’intera Ue) legati «all’instabilità politica». Questa volta ha evitato il riferimento diretto alla «politica», ma il concetto è lo stesso: «Gli sviluppi interni hanno rallentato l’adozione di nuove riforme».
La spinta, sostiene l’Ue, «si è indebolita a metà del 2016». Per questo restano le lacune in settori come «concorrenza, fisco, lotta alla corruzione e riforma della contrattazione collettiva», mentre vengono giudicati come positivi i passi avanti su «mercato del lavoro, settore bancario, procedure fallimentari, sistema giudiziario e della Pubblica Amministrazione». Nello specifico, però, «è necessario fare di più nel settore bancario» che «continua ad essere vulnerabile agli choc».
Il livello ancora alto di crediti bancari in sofferenza è considerato un problema e «il possibile costo sostenuto dal governo per la ricapitalizzazione delle banche italiane deboli e la compensazione dei detentori di obbligazioni subordinate» vengono considerati tra gli elementi di rischio per il debito.
La Stampa – 23 febbraio 2017