Dal 1° aprile taglio del 30% ai rimborsi che lo Stato dà a ospedali pubblici e privati per visite e analisi. “Le liste d’attesa raddoppieranno”
La Stampa. Il governo taglia del 30% le tariffe a rimborso di visite e accertamenti eseguiti da ospedali pubblici e privati convenzionati. Una sforbiciata che costringerebbe ad erogare sotto costo molte prestazioni anche comuni, come una broncoscopia o un’analisi del colesterolo, tanto che gli stessi privati che lavorano per conto dell’Ssn mettono in guardia: «Così sottocosto non potremo continuare a lavorare per conto del pubblico e le liste di attesa finiranno per raddoppiare», sintetizza padre Virginio Bebber, presidente dell’Aris, l’associazione degli istituti socio-sanitari no profit di area cattolica. Anche se qualche problema potrebbero averlo anche gli ospedali pubblici, visto che con i bilanci in rosso rischiano la poltrona i loro direttori generali.
Con le nuove tariffe destinate ad entrare in vigore il prossimo primo aprile, l’Aris calcola una riduzione media complessiva di quasi un terzo. Un sistema non sostenibile non solo per le strutture religiose, ma anche per l’associazione di imprese Confapi-Salute e Artemisia Lab, oltre che per le associazioni scientifiche e dei pazienti del settore oculistico.
Ma vediamo da dove parte questa crepa che rischia di aprire un’altra falla nel nostro Ssn. Tutto comincia con i nuovi Lea, la lista delle prestazioni rimborsabili, aggiornata dopo anni di attesa nel 2017 con circa 400 prestazioni di nuova generazione. Il tassello mancante erano le tariffe, visto che quelle in vigore risalgono a fine anni ’90. Dopo vari rinvii il tariffario aggiornato, salvo nuove proroghe, entrerà in vigore il 1° aprile prossimo, ma giunti ormai in dirittura di arrivo si scopre che per compensare l’aumento dei costi delle new entry nel librone delle prestazioni mutuabili finirà anche il taglio delle tariffe di quelle che nei Lea ci sono da sempre.
«Tariffe – spiega padre Bebber – assolutamente inadeguate e irrealistiche, che porteranno in futuro enormi problemi». Il centro studi dell’Aris ci fornisce qualche esempio per capire meglio: le visite specialistiche – come quelle cardiologiche, ortopediche e neurologiche – hanno una tariffa di 22 euro, cifra che è insufficiente a coprire i costi del medico specialista, del personale infermieristico, del servizio di prenotazione, delle utenze e delle pulizie. Ogni visita genererebbe per l’associazione una perdita almeno di 25 euro. Ma sono molte le prestazioni che hanno tariffe che non coprono neanche i costi diretti di produzione. Eseguire, per esempio, una colonscopia prevede circa 30 minuti di tempo, l’impiego di un medico e due infermieri, l’uso di tecnologie e altri materiali necessari, più un lavoro amministrativo. La nuova tariffa prevede 95,90 euro per questa prestazione. Analizzando i costi che deve sostenere la struttura, per l’Aris bisogna fare questi conti: un medico costa 39 euro; due infermieri 35 euro; ricondizionamento apparecchiatura post erogazione 20 euro; gestione certificazione 4 euro; risveglio 2 euro per un totale di 125 euro, ai quali vanno aggiunti: 18 euro per la manutenzione degli strumenti tecnologici, 21 euro per l’ammortamento e 17 per costi amministrativi. Ciò significa che, applicando il nuovo tariffario, la struttura dovrebbe erogare la prestazione richiesta con una perdita di circa 85 euro. Due ore di ambulatorio coprirebbero quattro colonscopie che per la struttura significherebbero 340 euro di perdita. Stesso discorso vale per una scintigrafia renale, che rimborsata a 122,40 euro comporterebbe una perdita di 110 euro, uguale a quella per una broncoscopia con prelievo bronchiale, mentre un esame urodinamico comporterebbe una perdita secca di oltre 122 euro.
«Il nuovo tariffario sugli esami e le visite sarà un disastro economico che porterà al fallimento delle strutture sanitarie del Sud, che potranno essere acquistate a basso costo dalle grandi multinazionali straniere. Per non parlare del rischio di un aumento delle liste di attesa», afferma Mariastella Giorlandino, amministratrice di reti Artemisia Lab e rappresentante dell’Unione ambulatori e poliambulatori. «Se il metodo per non remunerare giustamente le prestazioni in convenzione, tagliando del 60% le tariffe dei laboratori, è quello di dire “facciamole nel pubblico”, significa non conoscere la realtà degli ospedali» gli fa eco Michele Colaci, presidente di Confapi-Salute. Che nel nuovo tariffario vede anche una ulteriore spinta alle diseguaglianze territoriali in sanità, «perché le regioni del Nord che non sono in piano di rientro potranno modificare al rialzo le tariffe nazionali, quelle del Sud no».
Tariffe avare uguale a tecnologie “basic” è quello che denunciano tanto l’associazione dei pazienti con malattie oculari che la Società di scienze oftalmiche. «Per sostituire il cristallino operato di cataratta si finirà per usare lenti a basso costo provenienti dall’India», predice Michele Allamprese, presidente dell’associazione dei pazienti, che per chi ha problemi di vista vede liste di attesa più lunghe nel pubblico e maggiore spesa per interventi in modalità “solvente”. —