Niccolò Zancan,La Stampa. In un bosco di castagni, a seicento metri di altitudine, nel comune di Fraconalto, al confine fra Piemonte e Liguria. Lì è stato trovato. «Era in cammino da un’ora con il mio cane da ferma, quando l’ho visto. Era un cinghiale, un cinghiale riverso sul sentiero. Non aveva un graffio, niente sangue sulle foglie. Mi sembrava strano vedere un animale così giovane, sano, non troppo piccolo, agonizzante. Mi sono domandato: chissà come mai una bestia che dovrebbe essere viva sta morendo».
Fabio Cavo, 37 anni, agricoltore e taglialegna, ha avuto l’accortezza di fare molta attenzione: «L’ho anche girato con un bastone, non si muoveva quasi più. Ho richiamato il cane perché non andasse a infilare il naso lì in mezzo. Ho subito telefonato a un mio amico che fa la caccia ai cinghiali, lui aveva i contatti giusti. Infatti sono andati con le guardie forestali della Provincia a prenderlo, e poi il giorno dopo sono arrivati i risultati delle analisi fatte dell’Istituto zooprofilattico di Torino».
Era questo, di lunedì scorso, il secondo caso di peste suina scoperto in provincia di Alessandria. Il primo era stato registrato nelle campagne di Ovada il 7 gennaio, a 20 chilometri di distanza. È incominciato così l’allarme per tutti i cacciatori e per tutti gli agricoltori della zona, con annessa grande preoccupazione per gli allevatori italiani. Sul sito del Ministero della Salute si leggono le informazioni essenziali per capire di cosa si tratta: «La peste suina africana è una malattia virale che colpisce suini e cinghiali. Altamente contagiosa e spesso letale per gli animali, non è invece trasmissibile agli esseri umani. È presente in Cina, India, Filippine e in diverse aree del Sud-Est asiatico. Nel 2014 è esplosa un’epidemia in alcuni paesi dell’Est Europa. Da allora la malattia si è diffusa anche in Belgio e Germania. Gli unici casi in Italia si erano registrati in Sardegna, dove negli ultimi anni c’è un costante e netto miglioramento della situazione epidemiologica. Il virus riscontrato in Piemonte è geneticamente diverso dal quello circolante in Sardegna, e corrisponde a quello circolante in Europa da alcuni anni».
Nessuno voleva sentirla ancora, quella parola. La parola virus. Il problema ora sta principalmente nell’effetto panico che sempre segue notizie di questo genere. Il ritrovamento delle carcasse infette potrebbe rallentare l’export di di carne fresca e deprimere il mercato interno. E poi c’è la questione locale spiegata bene da Luca Brondelli, presidente di Confagricoltura di Alessandria: «Ci hanno segnalato che alcune aziende di macellazione che operano fuori dal Piemonte avrebbero sospeso i ritiri di suini vivi allevati qui da noi, anche al di fuori della zona infetta. Questi atteggiamenti stanno provocando turbative di mercato e ingenerando fenomeni speculativi che danneggiano pesantemente le imprese del settore».
Ieri sera era attesa l’ordinanza ministeriale con le regole da seguire e con le limitazioni da osservare, alla fine è arrivata alle 22. Le decisioni dei ministro Roberto Speranza e Stefano Patuanelli sono drastiche. Nei boschi di 114 comuni fra le provincie di Alessandria, Genova e Savona scatterà una specie di lockdown. Divieto di caccia, divieto di raccolta funghi e tartufi, divieto di pesca, divieto di passeggiate nei sentieri con i cani e senza cani, divieto di trekking. Divieto persino del taglio della legna. Gli esseri umani non dovranno andare in quei boschi per non spaventare i cinghiali e costringerli a allontanarsi, moltiplicando e diffondendo così il contagio. Va scongiurato il rischio di propagare la malattia dei suini, per prevenire danni economici che potrebbero essere importanti. Quindi: sei mesi di stop. Di boschi vietati. Questa è la decisione per contenere la peste suina. Però senza limitazioni alle attività agricole e con la possibilità, comunque, di organizzare battute di caccia: «Caccia selettiva».
Nelle raccomandazioni del ministero della Salute fino a adesso comparivano provvedimenti molto più blandi: «Per turisti, allevatori, cacciatori, veterinari. Attenzione: gettare sempre residui di carne fresca o stagionata di suino in contenitori chiusi».
Il signor Fabio Cavo, con il suo cane da ferma sull’Appennino nel comune di Fraconalto, non è sorpreso di quanto sta accadendo: «Noi siamo sempre stati istruiti nello stare attenti, anche nell’avere paura. Se mi sono comportato in quel modo è perché ero preoccupato. Un giovane cinghiale senza ferite non può morire nel bosco. Avevo letto della peste suina e di un’altra malattia che si chiama trichellosi. Grazie a Dio sono malattie che non passano all’uomo, ma bisogna farci attenzione».
Così, nell’Anno Numero 2 del virus, un altro virus è arrivato a limitare la vita di chi sale per i sentieri dei boschi al confine fra Piemonte e Liguria. —