Si è tenuta a Bruxelles la conferenza “Combating food-related crime”, organizzata dalla Commissione Europea sul tema della agromafie e dei crimini collegati al settore food.
Da parte italiana è stato evidenziato come quello delle frodi alimentari sia uno degli ambiti in maggiore espansione per le organizzazioni criminali, che lo ritengono meno rischioso rispetto al traffico di stupefacenti e in grado di generare notevoli profitti; a tal proposito, è stato citato il recentissimo rapporto Eurispes-Coldiretti che stima in Italia un volume di affari di ben 12,5 miliardi di euro il business totale per le agromafie.
Un fenomeno purtroppo destinato ad aumentare in futuro, sia perché la crisi economica globale ha portato ad un impoverimento di ampie fasce della popolazione (generando una crescente domanda di cibo a basso prezzo), sia perché nei prossimi decenni l’aumento della popolazione mondiale comporterà un maggiore fabbisogno di cibo e acqua che saranno quindi al centro di qualsiasi scelta politica ed economica.
Al dibattito hanno preso parte numerosi esperti e professionisti europei del settore. Il nostro Paese ha lamentato le difficoltà spesso incontrate nelle attività di indagine a causa della causa la lentezza con la quale alcuni Stati rispondono alle richieste di accesso a documenti probatori di vitale importanza (altri, addirittura, non rispondono affatto).
È stato osservato da parte del Directorate General for Health and Consumer Affairs come il Regolamento Generale di legislazione alimentare permetta – in caso di pericolo per la salute pubblica – di diffondere il nominativo dell’azienda o del prodotto sotto inchiesta, mentre in tutti gli altri casi di frode è la legislazione nazionale ad essere applicata.
Nel corso della conferenza è emerso anche come in certe situazioni la criminalità organizzata si avvalga dell’opera di funzionari o di ispettori corrotti per eludere i controlli alle frontiere: un rappresentante dell’Ufficio europeo per la lotta anti-frode (Olaf) ha citato casi in cui partite di carne provenienti dalla Cina hanno passato la frontiera nascoste sotto scatole di fagioli o involtini primavera, oppure vongole cinesi sono state spacciate per vietnamite grazie ad un falso certificato medico, permettendo all’importatore di pagare dazi doganali più bassi (del resto, ad oggi non è particolarmente difficile falsificare i documenti di origine dei prodotti).
È stato spiegato che anche dati commerciali – come la variazione del prezzo o un picco di vendite improvviso fatto registrare da un prodotto – spesso possono nascondere una frode. Alla luce di quanto emerso complessivamente nel corso del dibattito, risulta più facile comprendere come in un simile scenario le organizzazioni criminali vedano concrete possibilità di trarre profitto, correndo minori rischi rispetto ad altre attività illecite.
Per scongiurare questo pericolo è opportuno che l’Unione Europea intraprenda una decisa azione di contrasto all’azione della criminalità organizzata, che deve essere il frutto di una cooperazione transnazionale tra istituzioni, agenzie alimentari, magistrati, forze di polizia e doganieri degli Stati membri.
ilpuntocoldiretti.it – 7 marzo 2012