Gli sforzi della Cina per controllare il rialzo dei prezzi degli alimentari potrebbero rimanere frustrati di fronte a una reale scarsità di prodotti agricoli
gli analisti stimano che il paese asiatico abbia quasi del tutto esaurito le proprie scorte di mais, zucchero e cotone. E proprio ieri la Food and Agriculture Organization (Fao) ha alzato il livello di allarme sulla sicurezza alimentare nel mondo, evocando la possibilità di una replica della crisi dell’estate 2008, quando sull’onda di rincari record in molti paesi scoppiarono rivolte per il pane.
«La tensione sui prezzi di molte commodities non si sta attenuando», avverte l’agenzia delle Nazioni Unite nell’aggiornamento semestrale del Food Outlook. «La comunità internazionale deve rimanere vigile ed essere preparata alla possibilità che nel 2011 si verifichino ulteriori shock sul lato dell’offerta».
Nell’edizione di giugno del rapporto la Fao sperava ancora in un aumento della produzione mondiale di cereali. Oggi non più: la previsione è peggiorata, da 2,239 a 2,216 miliardi di tonnellate, che rappresenterebbe una contrazione del 2% rispetto al 2009.
A preoccupare è soprattutto la riduzione delle scorte, che potrebbe essere «notevole»: -7% per il totale dei cereali, -10% per il frumento, -12% per il grano, addirittura -35% per l’orzo. Solo le riserve di riso dovrebbero aumentare (+6%). «La produzione dovrà crescere in modo significativo per far fronte alla domanda e ricostituire nello stesso tempo le scorte mondiali», osserva la Fao. Ma purtroppo non sono soltanto i cereali ad aver subìto forti rialzi di prezzo negli ultimi mesi: il cotone e lo zucchero, ad esempio, sono freschi di record storici, i semi di soia pochi giorni fa erano ai massimi da due anni. Gli agricoltori potrebbero quindi essere tentati dal seminare altre colture, su terreni agricoli che in molti paesi è impossibile espandere ulteriormente. «Le risposte produttive di singole produzioni rischiano di risultare limitate, a livelli insufficienti ad allentare la ristrettezza del mercato. In un tale contesto, i consumatori non avranno altra scelta che pagare prezzi più alti per gli alimenti».
Il conto sarà molto salato già nel 2010: la Fao stima che le importazioni alimentari possano costare più di mille miliardi di dollari, con aumenti particolarmente pesanti per i paesi più poveri (+11%) e per quelli che, oltre a registrare un basso reddito, soffrono anche di un deficit alimentare. Questi ultimi potrebbero dover spendere addirittura il 20% in più.
Abdolreza Abbasian, economista della Fao, ammette che «la situazione sta diventando un po’ scomoda». «I paesi poveri dovranno importare cibo a prezzi molto più alti. Impossibile dire se questo provocherà disordini, dimostrazioni, rivolte, come nel 2008. Molto dipende da come questi paesi riusciranno a gestire i rincari, se ce la faranno ad evitare che si trasmettano ai mercati locali».
Ilsole24ore.copm
8 novembre 2010