di Franco Bechis. Il numero è contenuto in un appunto dell’amministrazione della Camera diretto al Collegio dei Questori e per conoscenza ai membri dell’ufficio di presidenza: 802. Tanti sarebbero i ricorsi dei dipendenti contro la delibera del 6 ottobre 2014 con cui i vertici della Camera hanno deciso di mettere una serie di tetti ai loro stipendi a partire dal primo gennaio 2015, in modo di accogliere anche a Montecitorio la filosofia con cui Matteo Renzi aveva stabilito un tetto di 240 mila euro lordi agli stipendi dei dipendenti pubblici.
Come già raccontato da Libero illustrando quella decisione di Laura Boldrini e dell’ufficio di presidenza della Camera, i tetti agli stipendi interni sono molto più soft di quelli imposti da Renzi: escludono dal lordo contributi previdenziali e indennità di funzione (quindi gli stipendi massimi resteranno sopra i 350 mila euro lordi) e vengono applicati gradualmente nell’arco di quattro anni. Per quanto minore di quello applicato agli altri stipendi pubblici il taglio è risultato assai sgradito a tutte le categorie di dipendenti, anche perché la Camera- in questo in modo peggiorativo- ha inserito anche una serie di tetti massimi anche per le categorie non dirigenziali. Fatto sta che ben 802 hanno fatto ricorso alla commissione interna impugnando la delibera sui tagli. Siccome a decidere sul merito dei ricorsi saranno le stesse persone che hanno scelto di inserire quel tetto, è difficile che qualcuno possa spuntarla seguendo le vie amministrative interne. I dipendenti della Camera e le organizzazioni sindacali che li rappresentano si sono rivolti quindi a studi legali esterni er tentare la via del ricorso alla giustizia ordinaria. Un consistente gruppo di loro ha bussato alla porta dell’avvocato Aldo Sandulli, uno specialista della materia. E a scacchiera tenteranno di impugnare le deliberazioni della Camera con ricorsi al Tar, al giudice del lavoro e perfino con denunce civili e penali. La speranza è di trovare chi porti il caso alla Corte costituzionale, perché l’applicazione del prelievo di solidarietà straordinario solo a una categoria di dipendenti è già stato cassato una volta dai giudici supremi. Proprio sulla base delle notizie di iniziative legali già avviate gli amministrativi della Camera hanno chiesto lumi su come procedere nella compilazione del bilancio di previsione per il 2015: bisogna tenere conto o no di quegli 802 ricorsi? Come si debbono apportare in questa incertezza gli eventuali risparmi che verrebbero dal taglio degli stipendi? Non sarebbe più opportuno creare un fondo rischi dove vincolare sia quei risparmi sia quelli che verrebbero dalla disdetta dei contratti di affitti d’oro, visto che sicuramente il proprietario dei palazzi, Sergio Scarpellini, impugnerà in tribunale la decisione della Camera? I toni dei dipendenti della Camera sono sicuramente esacerbati, e se ne sono accorti i membri dell’ufficio di presidenza presi di mira da settimane da esposti e diffide inviate da legali in rappresentanza dei dipendenti e delle associazioni che li riuniscono. Centinaia di loro hanno firmato un documento inviato anche alla Boldrini, a Marina Sereni (presidente del comitato per gli Affari del personale), al segretario generale (in uscita) Ugo Zampetti e al consigliere capo servizio del Personale Aldo Stevanin. Lì si dice che la delibera sul taglio degli stipendi solleva «non pochi dubbi di natura costituzionale, ponendo le basi per dei contenziosi legali che inaspriranno inevitabilmente i rapporti fra i dipendenti e la parte datoriale». Si stigmatizzano presunte violazioni dei protocolli sindacali interni e si accusano la Boldrini & C. di «assoluta noncuranza delle ragioni e dei diritti dei lavoratori che con dedizione e professionalità sorreggono ogni giorno il lavoro della Camera e che con senso di responsabilità ormai da anni accettano tagli ai propri stipendi». Prima delle firme una chiusa quasi minacciosa, che sembra riferirsi a Renzi e ai renziani: «Il comportamento degli organi politici, palesemente antisindacale e tutto proteso al solo riscontro elettorale, produrrà invece nel breve e nel lungo periodo un decadimento qualitativo dell’istituzione (…) A nessuno può essere consentito posporre gli interessi della Nazione a non meglio precisate istanze individuali o di parte politica. A questo gioco al massacro io non ci sto», e via tutte le firme…
Libero – 13 novembre 2014