Il prosciutto è fuori dal tunnel della crisi. L’estate calda ha spinto i consumi di una delle eccellenze italiane, il prosciutto di Parma e il prosciutto di San Daniele. Consorzi e produttori ora credono davvero che si possano superare gli obiettivi di produzione posti nei Piani pluriennali 2015-17 proposti al ministero delle Politiche agricole (e approvati).
«Dopo un inizio d’anno tranquillo – osserva Fanti, dg del Consorzio del prosciutto di Parma – con l’estate è partita una ripresa della domanda italiana molto significativa. Tanto che le cosce fresche hanno subìto un brusco rialzo: i macelli hanno spinto i prezzi dai circa 4 euro al chilogrammo del prezzo medio del 2014 ai 4,47 dell’ultima rilevazione».
Sul versante internazionale è invece continuata la crescita, grazie all’euro debole che ha favorito la performance negli Stati Uniti. L’export assorbe il 30% della produzione complessiva, 12 punti in più nell’ultimo decennio. Non ci sono dati precisi sui trend delle vendite: gli unici certi sono relativi al preaffettato che continua a crescere.
Il piano di produzione 2015-17 del prosciutto di Parma prevede che nel 2015 verranno lavorate 8,7 milioni di pezzi (da commercializzare l’anno successivo per i 12 mesi di stagionatura), 300mila in più del 2014. L’obiettivo a fine piano è di arrivare 9 milioni di pezzi, certo ancora lontani dai 10 milioni del 2008, ma in recupero se si pensa che dal picco si è perso il 16% della produzione.
Molto precisi sui dati congiunturali al Consorzio del prosciutto di San Daniele. «La nostra rincorsa – esordisce il dg Mario Cichetti – è iniziata già dal luglio del 2014. Ed è continuata fino a oggi: abbiamo i magazzini vuoti e per fine anno stimiamo un balzo della produzione di prosciutti a 2,67 milioni contro i 2,49 del 2014».
Quanto alla domanda interna, Cichetti stima che nei primi 8 mesi del 2015 gli affettati «sono cresciuti del 10,5% e del 16,4% le confezioni prodotte. Sul versante dell’export, invece, nel primo semestre abbiamo registrato un aumento del 10% su base tendenziale». Sui prezzi record delle cosce, Cichetti conferma il balzo generato da una domanda che morde. Tuttavia «i margini dei produttori sono rimasti ancora risicati. Non siamo riusciti ancora a trasferire alla distribuzione gli aumenti delle materie prime. È questione di tempo, ma arriveranno».
Oggi è tornato a splendere il sole, ma negli ultimi anni le vendite nel canale della grande distribuzione e nel normal trade sono state da brivido: Nielsen ha rilevato che nel biennio 2013 e 2014 (anno terminante a luglio) il totale vendite è sceso del 6% nel primo anno e del 7% nel secondo; il Parma ha perso il 7 e l’8%, il San Daniele il 13 e il 9%, gli altri marchi il 3 e il 5,7%. Insomma i prodotti non Dop hanno limitato le perdite. I prezzi al consumo, nel triennio 2012/14, hanno retto: il Parma è oscillato intorno ai 24 euro per kg, il San Daniele intorno ai 25 e gli altri marchi tra 16 e 17 euro.
Una prova di stabilità? “Sostanzialmente sì – risponde Fanti – ma attenzione ai prezzi all’origine: il prezzo in partita (quello delle transazioni tra produttori ndr) è sceso in un triennio da 7,7 a 7,30 e quello all’ingrosso è salito da 10,30 a 10,60».
Emanuele Scarci – Il sole 24 Ore – 17 settembre 2015