Vertice, questa sera al ministero dello Sviluppo economico, sul tema delle etichette alimentari dopo il vespaio sollevato lo scorso dicembre con il regolamento Ue che rendeva facoltativo l’indicazione dello stabilimento di produzione.
Il dicastero di Federica Guidi ha infatti convocato questa sera i tecnici degli altri ministeri interessati (Politiche agricole, Salute, Politiche europee) e i rappresentanti di Federalimentare, Federdistribuzione, Confapi, Coldiretti, Confagricoltura e Copagri per cercare una soluzione condivisa che tuteli i consumatori e le aziende alimentari, nel rispetto delle norme europee. Era stata la stessa Guidi a preannunciare l’apertura di un tavolo rispondendo alle richieste del ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina.
Il regolamento comunitario 1169/2011 entrato in vigore il 13 dicembre scorso ha stabilito infatti l’elenco delle indicazioni obbligatorie da riportare nell’etichetta dei prodotti alimentari tra le quali non figura però lo stabilimento di produzione: questo però non ne vieta l’indicazione da parte delle imprese, come molte aziende italiane stanno già facendo su base volontaria.
Lo stesso regolamento prevede che gli Stati membri possano introdurre obblighi aggiuntivi ma solo per categorie specifiche di alimenti purché siano giustificati da almeno uno dei seguenti motivi: protezione della salute pubblica, protezione dei consumatori, prevenzione delle frodi, protezione dei marchi, delle indicazioni di provenienza, delle denominazioni di origine controllata e per la repressione della concorrenza sleale.
Pericolo censura
La riunione convocata dal Mise cercherà di chiarire alcuni degli aspetti problematici legati al regolamento europeo e cioè, ad esempio, se l’introduzione di un obbligo di indicare lo stabilimento di produzione a carico delle sole aziende italiane possa essere censurato da Bruxelles perché consentirebbe all’Italia un vantaggio competitivo attraverso un’impropria indicazione di origine.
Altro tema delicato riguarda la tutela del consumatore che non avrebbe la certezza del luogo di produzione dei prodotti realizzati in altri Stati membri che circolano liberamente sul mercato nazionale. Insomma ci potrebbe essere il rischio di una discriminazione al contrario per le imprese italiane. I grandi marchi internazionali potrebbero cioè ritenere anti-economico aprire o mantenere uno stabilimento di produzione in Italia perché sarebbero costretti a differenziare le etichette a seconda degli stabilimenti.
Per operare quindi in condizioni di certezza e stabilità per la produzione, occorrerebbe insomma un obbligo armonizzato per tutti gli Stati dell’Unione europea.
Il Sole 24 Ore – 10 febbraio 2015