«È una grande impostura, un disegno di protezionismo industriale camuffato da salutismo». Non usa mezzi termini il presidente di Ferrero, e le parole, per un ex-ambasciatore, paiono anche poco diplomatiche. Ma l’obiettivo di Francesco Paolo Fulci è proprio quello di alzare i toni, per tenere alta la pressione su Bruxelles affinché apra una procedura d’infrazione nei confronti di Londra.
Il target è il sistema di “semafori” inserito dal Regno Unito e già adottato dalla maggior parte delle catene distributive locali per segnalare il livello di “salubrità” degli alimenti. A preoccupare Fulci è ovviamente il semaforo rosso per alcuni dolci ma più in generale è l’intera filiera agroalimentare a rischiare di essere messa fuori gioco. Per il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina – intervenuto ieri a Rimini nella giornata di apertura del 35esimo meeting – non ci sono dubbi: la scelta di Londra va contrastata con ogni mezzo. «Daremo massima battaglia contro questa iniziativa – spiega Martina – perché la procedura d’infrazione deve essere aperta: è scandaloso stravolgere in questo modo il giudizio sulla realtà delle cose».
Altro tema “caldo” per il settore è l’impatto dell’embargo russo su alcuni prodotti, a cui per Martina occorre reagire andando oltre i 125 milioni già stanziati dalla Ue a favore delle imprese colpite. «Li consideriamo solo una prima tranche – chiarisce Martina – chiederemo di aumentare le risorse e di allargare la filiera di aziende che potrà accedere agli aiuti». Nel piano “dei mille giorni” in fase di gestazione da parte del Governo l’agroalimentare gioca un ruolo rilevante e l’obiettivo di medio termine, al 2020, è quello di spingere l’acceleratore sull’export, portando a quota 50 miliardi quello che oggi vale poco più di 30. «Per farlo – osserva il ministro – serve però un cambio culturale anche da parte nostra, bisogna mettere insieme le energie tra produttori, trasformatori e distributori, fare in modo che i redditi di chi produce siano più alti, perché altrimenti come si spiega ad un giovane che l’agricoltura è bella?». Sinergie e alleanze che per il fondatore di Eataly Oscar Farinetti devono avere però un approdo concreto: la nascita di un marchio unico per i prodotti italiani su cui investire tutte le risorse a disposizione per valorizzare al meglio i prodotti del made in Italy nel mondo. «Dobbiamo cambiare il marketing, la narrazione dei prodotti, la loro presentazione. È assurdo che a New York un pacco di pasta italiana costi appena due dollari, ne deve costare quasi cinque».
La qualità, in sintesi, da sola non basta più, occorrono strumenti nuovi per organizzare la logistica, la comunicazione, la presenza nel mondo. «E infatti non servono politiche di produzione – aggiunge il presidente di Confagricoltura Mario Guidi ma piuttosto politiche di mercato, per capire come e dove vendere, per far coesistere la nostra grande tradizione agricola con le nuove tecnologie. Temi, questi ultimi, su cui il mondo agricolo non pare completamente pronto». Uno dei nodi resta quello delle dimensioni, soprattutto alla luce della progressiva apertura dei mercati più remoti.
«Entro pochi anni – spiega Martina – avremo nel mondo 800 milioni di persone definibili ceto medio “aggiuntivo”. Va bene la lotta all’italian sounding ma poi dobbiamo essere anche in grado di riempire gli scaffali con i nostri prodotti. E qui servono dimensioni, investimenti. Questo è ciò che pensiamo di fare nei prossimi mesi. Se poi duriamo di più – conclude sorridendo – tanto meglio».
Il Sole 24 Ore – 26 agosto 2014