Si sono spostati da Verona a Parma in duecento. Compratori esteri che dalle cantine del Vinitaly hanno fatto rotta sui prodotti di Cibus. Spinti dal marchio che, a tavola, tira di più: il made in Italy. Dall’Australia agli Stati Uniti, in tutto il mondo il cibo italiano è sempre tra i primi 3 preferiti. Ma proprio il vento che spira dagli Usa rischia di frenare la corsa delle esportazioni alimentari italiane che negli ultimi 10 anni, dal 2007, sono cresciute del 37%. «C’è molta preoccupazione per l’allarme dazi — spiega Antonio Cellie, amministratore delegato di Fiere di Parma, che quest’anno ha lanciato il nuovo format Cibus connect, sostenuto da Crédit Agricole Italia, con 400 espositori selezionati e quasi altrettanti rimasti in lista di attesa — perché se è vero che il made in Italy esporta in tutto il mondo è altrettanto vero che le esportazioni verso gli Usa superano il 16%. Il rischio è che i venti del protezionismo blocchino il ciclo virtuoso degli ultimi 10 anni».
A Parma, tra gli stand della fiera in cui è rappresentato circa l’80% dell’export agroalimentare italiano, ovviamente nessuno se lo augura. Ma ci si prepara all’eventualità. «Ci stiamo orientando — spiega Gianpiero Calzolari, presidente di Granarolo — a costruire una struttura produttiva negli Stati Uniti, dove abbiamo anche diverse ipotesi di acquisizione». Nel 2016 il 25% del fatturato di Granarolo è arrivato dall’export e l’obiettivo è di raggiungere nel 2019 il 40% del totale fatturato che crescerà «da 1,2 a 1,5 miliardi in gran parte – spiega Calzolari – con acquisizioni: nel 2017 ne abbiamo già fatte 3 dopo le 10 del 2016».
Lo sbarco negli Usa risolve, però, solo in parte l’eventuale problema protezionismo. Perché Dop e Igp, ovviamente, non possono essere prodotte negli Stati Uniti, né altrove. E nel settore delle produzioni certificate (Igp, Dop e Stg) l’Italia è leader mondiale — come è stato ribadito ad Origo, il global forum delle indicazioni geografiche che si è tenuto sempre a Parma nell’ambito del Cibus connect — con 814 prodotti food & wine per un valore della produzione di circa 14 miliardi di euro e un peso del 10% sul fatturato totale dell’industria agroalimentare nazionale. Per questo, nonostante tutto, il presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, non è preoccupato più di tanto da nuovi dazi, «che anche il liberista Obama aveva adottato: l’insostituibilità dei nostri prodotti resta».
E allora meglio guardare alle opportunità, come quelle rappresentate dalla Cina. Sebbene i numeri assoluti siano ancora piccoli, le esportazioni di formaggi in Cina sono cresciute del 2095% dal 2006 al 2016. E le previsioni di consumo, fino al 2021, sono di un incremento del 15,3%.
Quando si parla di Cina non si può non far riferimento ad Alibaba: «Tramite Tmall, la piattaforma B2C del Gruppo Alibaba – spiega Rodrigo Cipriani Foresio, managing director per il Sud Europa di Alibaba – vogliamo portare le eccellenze del made in Italy, e in particolare i prodotti food&wine, ai 443 milioni di utenti attivi cinesi del nostro ecosistema. Un’operazione già in essere, se si considera che ad oggi contiamo 150 aziende italiane presenti su Tmall e Tmall Global».
Ma quanto vale il mercato del food online? In Italia — secondo i dati di una ricerca di Kpmg — ancora poco, se si pensa che solo lo 0,35% del cibo si compra in rete a fronte del 2% nel resto del mondo. Ma proprio questo significa che in Italia i margini di crescita sono molto ampi.
Michelangelo Borrillo – Il Corriere della Sera – 13 aprile 2017