Tra primi esportatori alimentari italiani? «Ci siamo anche noi». Bruno Veronesi 70enne presidente di Aia, terzo gruppo nazionale dell’agroalimentare, rivendica la totale italianità della propria filiera, dai polli ai mangimi, fino ai prodotti confezionati. «Non abbiamo fabbriche all’estero, ma lo scorso anno abbiamo esportato per 450 milioni, il 16% del nostro fatturato. Che si tatti di petti di pollo o di una vaschetta di prosciutto con una shelf life (la durata degli articoli da banco, ndr. ) di pochi giorni, siamo in grado di consegnare in tutta Europa nel raggio di 1.500 chilometri: Germania, Austria, Francia, Spagna, tutto l’Est Europa e la Gran Bretagna».
La via dell’export è quella che ha consentito al colosso delle carni bianche fondato a San Martino di Buon Alberego (Verona) di tornare a crescere dopo un 2015 di lieve contrazione. «Siamo tornati a superare i 2,8 miliardi di fatturato — rivela Veronesi —. I traguardo dei tre miliardi si avvicina, anche perché il 2017 è partito in crescita».
I concorrenti
Il gruppo avicolo si confronta con i competitor nazionali Amadori e Fileni e con i gruppi tedeschi entrati nel mercato nazionale con l’avvento delle insegne Rewe e Lidl. La catena tedesca Aldi, primo discount in Germania, è il nuovo cliente che ha consentito al gruppo veneto di aumentare sensibilmente la propri quota di export. «In Germania siamo presenti da anni come fornitore, ma il salto dimensionale lo abbiamo fatto grazie a un grosso contratto con il discount Aldi per cui siamo fornitori in esclusiva di tutta la Germania del Sud — dice Veronesi —. Abbiamo battuto la concorrenza dei tedeschi grazie alla qualità, l’ Ogm free e la tracciabilità di filiera. Ora ci aspettiamo che Aldi, quando aprirà in Italia ci confermi come fornitore».
L’insegna tedesca sta preparando lo sbarco nella Penisola e ha annunciato l’apertura dei primi punti vendita per il prossimo anno. Il piano industriale del gruppo veneto prevede un altro capitolo per lo sviluppo: le acquisizioni. «Nella nostra storia siamo sempre cresciuti per acquisizioni, in cinque anni abbiamo aumentato i ricavi di 500 milioni, intendiamo continuare sulla stessa strada», dice il presidente del gruppo alimentare.
Il polo
Il marchio di famiglia Aia, lanciato da Apollinare Veronesi negli anni ‘70, ha creato un mercato che prima non esisteva, quello dei prodotti a base di carne di pollo e tacchino e ha costretto i competitor a inseguire. Ma è nei salumi che la famiglia ha costruito un polo da zero tramite le acquisizioni: con i marchi Negroni, Montorsi, Fini, Daniel realizza il 30% dei ricavi.
Ora nel radar ci sono aziende piccole e medie. «Abbiamo sempre dei pour parler, ma non abbiamo ancora trovato l’opportunità giusta — dice Veronesi —. Ci interessano piccole realtà con marchi non importanti che ci darebbero la possibilità di crescere nella produzione perché i nostri stabilimenti sono ormai saturi». È il mercato in controtendenza a richiedere un aumento della produttività: «In Italia il consumo di pollo continua a crescere, mentre quello della alla carne bovina cala — nota il presidente di Aia —. C’è ancora della strada da fare per raggiungere i livelli degli Stati Uniti e di altri Paesi sviluppati». A rendere più appetibili le carni bianche rispetto a quelle rosse sono motivi di convenienza, dieta, e di sostenibilità ambientale.
In arrivo
E anche la creatività dei produttori. «L’innovazione è il nostro cavallo di battaglia — precisa Veronesi —. Lo scorso anno abbiamo immesso sul mercato una decina di nuovi prodotti e abbiamo sostituito i vecchi. Abbiamo un reparto di ricerca e sviluppo molto forte che io seguo personalmente. Dove c’è innovazione, c’è il marchio e ci sono i margini».
Il gruppo Aia è stato il primo a introdurre prodotti che prima non esistevano, come i würstel di pollo o le impanate precotte. E continua ad intercettare i gusti dei consumatori con nuove proposte: dal kebab di pollo alla chicken salad , dalla salsiccia precotta alla linea con pochi grassi Aequilibrium. «L’importante — sottolinea Veronesi — è la velocità».
Da alcuni anni la famiglia ha fatto un passo indietro nella gestione ed è soltanto azionista, mentre l’operatività è in mano ai manager. I cinque eredi del fondatore (Bruno, Giordano, Carlo, Marcella e Luisa), hanno indicato ciascuno un figlio nel consiglio di amministrazione della holding capogruppo. Con la nomina dei cinque eredi di età tra i 35 e i 45 anni (Marcello, Tommaso e Mario Veronesi, Francesco Ballini e Antonio Nicodemo) il consiglio d’amministrazione si è allargato a 11 membri compreso l’amministratore delegato, Luigi Fasoli.
La Borsa a breve non è prevista, «ma è un’opzione che teniamo in considerazione», dice Veronesi. Tanto che l’azienda ogni anno presenta il bilancio alle banche e agli stakeholder come se fosse già quotata.
Corriere Economia – 13 febbraio 2017