Dalle vacche della Cia che sfilano a Carmagnola ai trattori della Coldiretti che paralizzano Catania per denunciare la crisi delle arance e dire che l’agricoltura italiana è in ginocchio. Il via libera all’importazione dell’olio tunisino senza dazi (70 mila tonnellate in due anni) col voto favorevole di 12 eurodeputati del Pd ha scoperchiato il vaso di Pandora dei mali dei nostri campi: stretti tra una Europa sempre più ostile alla nostra agricoltura e un governo nazionale che fa poco o nulla.
Pesano poi le crisi geopolitiche: dalle sanzioni alla Russia, al caos mediterraneo. Questo è il risultato dopo i fasti dell’Expo: un’occasione mancata per restituire centralità economica al settore primario. Eppure l’agroalimentare nel suo complesso ha fatturato 135 miliardi di euro toccando il record dell’export a quasi 40 miliardi, l’agricoltura in senso stretto nell’asfittica ripresina è il settore che ha dato il maggiore contributo con un balzo del valore aggiunto del’8,4% e un incremento di occupati.
Ma pesano un’erosione costante dei prezzi agricoli scesi lo scorso anno di un altro 1,7%, la caduta dei consumi interni e la sistematica aggressione che viene dai concorrenti sia interni che esterni all’Unione.
Senza contare che all’orizzonte si affacciano altre due tempeste: 6 miliardi in meno di contributi dall’Europa (l’Italia è il paese più penalizzato dalla Pac 2014-2020) e gli accordi TTIP con gli Usa che minando le Dop rischiano di dare una mazzata alla nostra agricoltura. In cambio non abbiamo né la legge europea sul Made In né la tracciabilità totale. Lunedì si annuncia un Consiglio europeo tesissimo proprio sulla crisi agricola con la Germania che minaccia un veto globale.
POMODORO
Se n’è accorto pure Maurizio Martina, il nostro ministro agricolo presentissimo all’Expo molto meno ai vertici europei: ne ha bucati 9 su 13, che la crisi è drammatica. Domani a Bruxelles chiederà di aumentare i prezzi di ritiro e di differenziarli per tipologia oltre a rivedere il trattato commerciale col Marocco. Arriva un po’ tardi. Nel ragusano e in Calabria le imprese stanno chiudendo: i prezzi sono crollati del 70 per cento. Oggi un Piccadily e un Ciliegino vengono pagati 30 centesimi al chilo, la superfice coltivata a pomodori da mensa si è ridotta del 25% in un anno e ora è sotto i 26 mila ettari. La colpa? È dei pomodori cinesi e di quelli del Marocco: le importazioni sono cresciute del 70%. In questo settore sono a rischio 50 mila posti di lavoro e c’è un’ emergenza sociale: per arginare la crisi si ricorre al lavoro dei clandestini. Un bracciante in nero costa meno di 15 euro al giorno.
La crisi delle arance, dei mandarini dei limoni è devastante. Il prezzo delle arance è arrivano a 10 centesimi al chilo, quello dei mandarini a 15 con una perdita secca del 50%.
AGRUMI
Anche in questo caso la colpa è dell’invasione di arance che arrivano dal Marocco e soprattutto dalla Turchia che dopo la chiusura del mercato russo ha riversato tutta la sua produzione in Italia dove in cinque anni si è perso un terzo della superfice coltivata ad agrumi
ltre alle responsabilità dell’Ue ci sono quelle del Governo. Lo scorso anno è stato alzato al 20% il imite minimo di succo d’arancia contenuto nelle aranciate, ma non serve a nulla perché non è mai stato varato il decreto attuativo. In questo settore si rischiano 25 mila posti di lavoro.
LATTE E ZOOTECNIA
Finite le quote latte Germania e Francia i leader europei non intendono cedere di un millimetro. Così i produttori italiani che sono invasi da latte comunitario, da cagliate congelate e latte e in polvere spuntano prezzi alla stalla che non coprono neppure i costi di produzione. In un anno sono state perse 4 mila stalle, la stima è che nel prossimo anno ne chiuderà una su tre. Martina promuove una moratoria sui debiti bancari e una completa attivazione del fondo straordinario da 50 milioni. Ma è una goccia nel mare. Serve una nuova organizzazione comunitaria di mercato, ma la Germania si oppone. Non diversa è la situazione per quel che riguarda gli allevamenti da carne. Chiuso il mercato russo e con il sistematico dumping operato dai francesi il prezzo della carne è in caduta libera anche per l’arrivo massiccio di carne da Brasile e Paraguay sottocosto. .
SUINI
È insieme a quella di agrumi e pomodoro la crisi più grave. È già chiuso circa un terzo degli allevamenti per il crollo verticale dei prezzi che in cinque mesi hanno perso oltre il 20%. Oggi un maiale da carne viene pagato 1,2 euro al chilo. Il dumping della Germania in questo settore è fortissimo. La Ue sta cercando di porvi rimedio con lo stoccaggio delle carni in azienda per diminuire l’offerta. Ma è una misura insufficiente se non si arresta l’importazione di maiali extracomunitari e soprattutto il traffico di carni congelate. Anche in questo settore sta prendendo piedi il caporalato. Nel distretto di Modena si segnalano operai pagati 3 euro l’ora.
FRUTTA
Il crollo dei consumi mette a rischio la frutta estiva e 6 mila posti di lavoro. In allarme anche il comparto delle mele dove la Polonia sta vendendo a prezzi bassissimi. Egualmente vale per le orticole. Anche in questo caso l’Ue non è in grado di regolare la concorrenza interna.
CEREALI
Caduta verticale dei prezzi (il grano duro è sotto i 20 euro al quintale) e massiccia importazione di grani che arrivano dai paesi dell’Est, in particolare dall’Ucraina che ha quadruplicato la sua esportazione, con scarsa garanzia di salubrità stanno mettendo in ginocchio la cerealicoltura italiana a cui ha dato il colpo finale l’invasione di grano dalla Turchia che in sei mesi ha raddoppiato l’esportazione. In due anni abbiamo perso circa il 15% di superfice coltivata a grano, si spiega così che abbiamo importato metà del grano per oltre 7 milioni di tonnellate.
PESCA
Invasi dai salmoni norvegesi e da pesci d’allevamento che arrivano dall’estremo oriente il pescato nazionale copre appena il 25% del fabbisogno. A questo si aggiungono l’accordo con il quale abbiamo regalato le zone più pescose del Tirreno ai francesi e i cavilli dell’Europa con l’assurdo limite sulle vongole che ha messo in ginocchio le marinerie adriatiche, col divieto di pesca dei bianchetti che però arrivano falsi e congelati dalla Cina e col contingentamento del tonno che ha spazzato via la piccola pesca. In tre anni sono stati persi 4500 posti di lavoro e circa tremila pescherecci.
MIELE
Nonostante una tenuta della produzione, che è strategica perché le api svolgono una funzione essenziale d’impollinazione, è sottoposta ad un sistematico attacco da mieli che provengono da paesi extraUe spesso di dubbia salubrità. La Coldiretti stima che un barattolo di miele su due in vendita in Italia sia stato in realtà prodotto all’estero per effetto del record nelle importazioni che hanno raggiunto la quantità di 23,5 milioni di chili nel 2015, con un aumento dell’11% rispetto all’anno precedente. L’obbligo di origine in etichetta non vale infatti per il miele destinato a produzioni agroalimentari. Così Cina, Argentina e Romania vengono a vendere sottocosto. E questo non è proprio un dulcis in fundo!
Libero – 13 marzo 2016