Nella corsa all’aggiudicazione dell’Agenzia europea del farmaco che entro aprile 2019 dovrà lasciare Londra spunta con forza la candidatura di una città dell’Est europa. L’outsider che potrebbe diventare il competitor più forte per Milano che aspira ad ospitare l’Ema è infatti Bratislava, capitale della Slovacchia nel centro dell’Europa continentale a 50 chilometri da Vienna con cui – questa è una delle ipotesi che sta prendendo forma – potrebbe dividere parte degli uffici dell’Agenzia dei medicinali. Ad aiutare questa candidatura (che potrebbe diventare doppia in un connubio con la capitale austriaca) è il peso che il criterio “geografico” – il fatto cioè che Bratislava sia l’unica città tra le 22 candidature annunciate per l’Ema a non ospitare già un’agenzia o un organismo Ue – potrebbe vedersi riconoscere prevalendo sui requisiti tecnici (quelli “meritocratici”) che l’Europa ha deciso di utilizzare per scegliere la candidata ideale. In più Bratislava avrebbe l’appoggio della Germania che in cambio – queste alcune delle speculazioni in corso tra Roma e Bruxelles – otterrebbe i voti dei Paesi dell’Est per ospitare l’Eba, l’agenzia sulle banche anch’essa pronta a lasciare Londra. Francoforte (dove ha già sede la Bce) è infatti in pole position tra le quindici candidature finora annunciate per questa agenzia.
La settimana scorsa, i Ventisette si sono messi d’accordo su un metodo di selezione che prevede una analisi da parte della Commissione europea in settembre, un dibattito in ottobre nel Consiglio europeo, e un voto in novembre. Sei i criteri individuati dall’esecutivo comunitario, di cui cinque tecnici (spazi disponibili, infrastrutture, servizi per i 900 dipendenti e loro famiglie, ecc.) e uno “politico”. Quest’ultimo si basa su due dichiarazioni del 2003 e del 2008 in cui i paesi membri si sono impegnati a una redistribuzione equa delle istituzioni comunitarie attraverso tutto il territorio dell’Unione. Un criterio che favorirebbe appunto Bratislava.
Il voto di novembre avverrà tra l’altro alla maggioranza semplice (14 Paesi su 27) e a scrutinio segreto. È evidente che in questo modo il governo italiano parte svantaggiato. Ed è poi facile immaginare che i paesi dell’Est possano votare a favore della capitale slovacca.
La partita comunque non è chiusa. Da qui al prossimo autunno, i paesi che vogliono contrastare la candidatura di Bratislava, o di altre città dell’Europa centro-orientale, potranno farsi avanti con ragioni più o meno convincenti. «Un momento cruciale sarà settembre quando la Commissione europea presenterà la sua analisi delle varie candidature e dalla quale emergerà una prima inevitabile selezione», spiega un diplomatico. I governi hanno tempo fino al 31 luglio per fare atto formale di candidatura. Tra settembre e ottobre ci sarà una prima valutazione tecnica nel «Coreper» (Comitato dei rappresentanti permanenti, il livello degli ambasciatori), mentre il Consiglio europeo del 19 e 20 ottobre sarà “informato” sul processo di selezione in corso. Il mese successivo ci sarà il momento clou con il voto al Consiglio affari generali (dove siedono i ministri degli Affari europei). Qui si potrebbe arrivare a una scrematura a tre candidati oppure subito alla scelta della città vincente in caso di una immediata maggioranza (14 su 27).
«La candidatura di Milano dal punto di vista dei requisiti cosiddetti tecnici, che mi auguro abbiano un peso cruciale perché sono sostanziali, ha le carte pienamente in regola», avverte Enzo Moavero Milanesi il consigliere del premier Paolo Gentiloni per il dossier sull’Ema. Che ricorda anche come Milano possa garantire la «business continuity anche perché il nostro Paese è tra quelli all’avanguardia nelle politiche regolatorie del farmaco». «E poi siamo sicure che le altre candidate siano davvero in grado dal punto di vista delle infrastrutture di ospitare un’Agenzia che ogni giorno deve relazionarsi con 600 persone provenienti da tutta Europa?». Insomma per il nostro sherpa «la partita non è chiusa». Ma il rischio di uno schiaffo all’Italia al momento sembra probabile.
Milano teme i Paesi dell’Est, ma la partita è ancora aperta
Peseranno più il merito – cioè gli spazi adeguati, la sede pronta, la qualità di vita per funzionari e famiglie – o la politica, intesa come l’opportunità di tendere una mano ai nuovi “soci” di un’Europa sbilanciata (a Ovest) e in fibrillazione (a Est)?
La partita per l’Ema – cioè il trasloco da Londra ad altra sede dell’Agenzia europea per il farmaco – non è ufficialmente ancora iniziata (le candidature dovranno arrivare entro il 31 luglio). Ma la ridda di indiscrezioni e voci sulla possibile prevalenza di una scelta politica (assegnare un’agenzia all’area, quella dei Paesi dell’Est, che non ne ha nessuna) mira a rendere più torbida l’aria.
La Commissione, infatti, si è data 5 criteri tecnici da tenere in considerazione per scegliere le future sedi: la disponibilità di spazi adeguati (inclusi i servizi di telecomunicazioni e di stoccaggio all’altezza); l’accessibilità delle location e la capacità di accoglienza, visto che tra visitatori, funzionari e convegni l’Ema crea un indotto di 30 mila notti in albergo. Non da meno, la presenza di strutture educative per i figli dei funzionari e di un sistema di protezione sociale e di assistenza medica di livello per le loro famiglie. Su tutto, poi, dovrebbe prevalere la garanzia di dare continuità all’attività riducendo lo stop dell’attività al tempo di un trasloco. È vero poi che si prevede di dare precedenza alle candidature di Paesi che ancora non ospitano agenzie, e l’Italia già è sede a Parma di quella alimentare, anche se il Trattato lo prevede per quelle di nuova costituzione (qui si tratterebbe di un mero trasferimento).
Tuttavia, il rischio che si voglia tendere una mano ai Paesi dell’Est per ricostruire una cooperazione magari su altri dossier (dal rispetto delle norme comunitarie all’immigrazione) non è escluso.
Su questo le istituzioni milanesi non si sbilanciano. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha ribadito quanto già detto nelle settimane passate, e cioè che la partita è sicuramente difficile ma che il capoluogo lombardo ha tutte le carte per vincere. «Sono un’ottimista, spero che ce la faremo, ma non nascondo le difficoltà», ha detto qualche giorno fa il primo cittadino. Anche il primo ministro Paolo Gentiloni ha recentemente dato ancora il suo sostegno alla candidatura milanese, e questo ha rincuorato i vertici di Palazzo Marino.
Del resto, fanno notare a Milano, le voci che si rincorrono sono molte e di segno opposto: fino a pochi giorni fa si parlava di Lille, una città che probabilmente potrebbe non presentare neppure la candidatura; o di Copenaghen, che invece dovrebbe avere poche chance essendo già sede di due importanti multinazionali del settore farmaceutico e che per questo sarebbe in conflitto di interessi; oggi le indiscrezioni suggeriscono Bratislava. Quindi meglio aspettare l’esito della valutazione di Bruxelles, il prossimo autunno.
Dalla Regione Lombardia, che nella candidatura di Milano si spende mettendo a disposizione direttamente la sede del consiglio regionale, il grattacielo Pirelli, non arriva oggi nessun commento ufficiale sul braccio di ferro Est-Ovest, che penalizzerebbe Milano. Preferiscono aspettare i dossier di candidatura definitivi.
La sensazione non è tanto che Milano non abbia realizzato un dossier degno di vincere. Se paragonato a quello di alcune città dell’Est, come Bratislava, la differenza è molto evidente e Milano ha sicuramente più carte da giocarsi. Il timore è che il paese non abbia la forza politica per farsi valere in Europa.
Preferisce non commentare Farmindustria, che conferma però la sua massima fiducia nel lavoro del Governo italiano. Pochi giorni fa il presidente Massimo Scaccabarozzi aveva sottolineato come quella di Milano sia una candidatura «oggettivamente forte perché garantisce la piena continuità operativa di una struttura, quella di Ema, che, se stesse ferma un mese, rallenterebbe l’approvazione di farmaci e di un’attività di cui i primi a fare le spese sarebbero solo i cittadini europei».
Il Sole 24 Ore – 29 giugno 2017