Una norma del Milleproroghe prevede l’aumento di Irpef, Irap e accise per finanziare lo stato di emergenza. I governatori in rivolta contro l’esecutivo: avviato il ricorso alla Consulta
Ci mancava solo la tassa sulla neve. Quella che si annida nel decreto Milleproroghe e che in questi giorni fa masticare amaro i presidenti delle regioni più colpite da questa ondata di maltempo.
È una di quelle piccole norme che si nascondono nelle leggi più complesse, che fanno titolo. Ma quando si devono applicare creano più danni di una bufera del Blizzard. Non a caso l’hanno definita la legge sulle disgrazie. Che si applica quando succedono i finimondi, quando scatta lo stato di emergenza. Proprio come in questi giorni. Ma nessuno dei governatori se la sente di pronunciare quella frase: «Stato di emergenza».
È pericoloso persino pronunciarla. Qualcuno ci ha tentato ma poi ha fatto retromarcia. La gente si sentirebbe in dovere di assaltare municipi e consigli regionali. Altro che aggredire un assessore com’è avvenuto nel viterbese. Qui ci sarebbe una sollevazione popolare. Già una mini rivoluzione scorre su Facebook contro questo balzello ideato dall’ex ministro Giulio Tremonti. La definizione «legge sulle disgrazie» è già di per sé odiosa, l’applicazione più o meno assurda. In pratica, le Regioni colpite da eventi calamitosi devono arrangiarsi da sole. Per interventi urgenti, per aiutare le popolazioni in difficoltà, per spalare la neve o mettere il gasolio nei trattori, devono mettere mano al portafoglio regionale. E se non ci sono soldi stanziati per le emergenze? Semplice – dice questa legge – i fondi devono saltar fuori da aumento di Irap e Irpef e da un incremento fino a 5 centesimi dell’imposta regionale sulla benzina. In pratica, i costi vengono scaricati sui cittadini e imprese già affossati dalla neve. Solo una volta attivate queste misure le Regioni possono bussare alla porta del governo e chiedere di accedere al fondo nazionale di protezione civile.
Capito? Lo Stato si mette in fondo alla lista e dà una mano solo quando i cittadini di una regione in difficoltà hanno pagato di tasca loro gran parte dei disastri. È una cosa giusta? No, dicono molti governatori che nei giorni scorsi avevano annunciato lo stato di emergenza e poi se lo sono rimangiato. Una contraddizione di cui sono consapevoli. Il governatore delle Marche, Gian Mario Spacca, lo ha detto chiaro e tondo: «Nessuna Regione chiederà lo stato di emergenza per far fronte alle grandi difficoltà prodotte dal maltempo. La normativa attuale produce un aumento delle accise e delle tasse regionali, che nessuno si può permettere». Dunque, l’emergenza c’è nei fatti, ma non formalmente. E allora a cosa serve una legge ad hoc se nessuno la applica? Il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo distingue: «L’emergenza è la neve, ma il problema è la tassa sulle disgrazie. E per affrontare l’emergenza è indispensabile rimuovere il problema». Il presidente del consiglio regionale dell’Abruzzo, Nazario Pagano, se la prende direttamente con Tremonti e parla di «norma eticamente riprovevole e ingiusta che andrebbe immediatamente modificata». E a Roma qualche concessione è già stata fatta. A parole per il momento. Le Regioni hanno chiesto all’esecutivo di modificare la legge 10 del 2011 e l’esecutivo ha abbozzato un «siamo disponibili». Intanto però chi le paga le spese degli interventi urgenti? Il governo ha garantito che sarà lo Stato a distribuire fondi per le regioni colpite anche senza la dichiarazione dello stato di emergenza. Tutte le spese necessarie per garantire la viabilità, il soccorso e l’assistenza alle persone dovranno però essere autorizzate dalla Protezione civile. In pratica il paradosso è il seguente: lo Stato, in questo modo, aggira la legge che lui stesso ha emanato. La norma è sventurata e se non ci penserà il governo a cambiarla sarà la Corte costituzionale a cancellarla. Diverse regioni come la Basilicata e la Puglia hanno impugnato la «tassa sulle disgrazie». E ora si aspetta solo il verdetto
Il Giornale – 12 febbraio 2012