Nel nuovo Patto Salute che faticosamente Governo e Regioni stanno provando a chiudere entro l’estate c’è un punto fermo: l’addio al vecchio modello del commissariamento, avviato dodici anni fa per rimettere sui binari una sanità dissestata. Sei i miliardi di euro di disavanzo l’anno per un sistema che nel 2006 aveva accumulato 10 miliardi di debiti fuori bilancio. Un “buco” imputabile a dieci regioni finite nel mirino. Oggi – dopo l’uscita dal piano di rientro di Liguria, Sardegna e Piemonte – le Regioni “canaglia” sono Lazio, Abruzzo, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia. E di queste le quattro più critiche – Lazio, Campania, Calabria e Molise – sono ancora sotto commissario: terapia d’urto fatta di taglio di ospedali, riduzione del personale, massima razionalizzazione e magari ricorso a maxi addizionali.
Ora i conti del Ssn stanno tornando in ordine, ma la cura da cavallo imposta da piani e commissari non ha sortito lo stesso effetto sui Livelli essenziali di assistenza (Lea): liste d’attesa infinite, disuguaglianze di cura, assistenza sul territorio ancora al palo sono effetto sì di mancata attenzione all’organizzazione della sanità ma anche dei tagli a servizi e letti. E allora regioni e governo cercano una nuova strategia: intervenire sulle singole criticità con strumenti mirati e tempi certi. Se il ministero dell’Economia storce il naso davanti a un cambio di passo, convinto che basterebbero misure più incisive del ministero della Salute su chi “non fa i compiti a casa”, la revisione di piani di rientro e commissariamenti è tra i temi del Patto su cui tra Salute e Regioni c’è più sintonia. Il punto di contatto, a regime, sarà l’Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas), mentre il cambio di passo sarà reso tecnicamente possibile dal nuovo sistema di garanzia dei Livelli essenziali di assistenza, all’avvio da gennaio 2020. Allora si potranno mettere in piedi interventi con il bisturi, articolati su prevenzione, ospedale e territorio.
«Siamo d’accordo con le Regioni, non ha più senso un commissariamento generale – avvisa il sottosegretario alla Salute Luca Coletto -. E anche l’affiancamento con la Regione virtuosa è un’altra opportunità: se c’è la necessità di intervenire può essere un’alternativa all’intervento mirato. Incentivi? Sicuramente vanno previsti. Alla Regione che si affianca va riconosciuto e non necessariamente deve essere finanziario».
«Vogliamo un commissariamento finalizzato a dare i servizi – precisa il coordinatore degli assessori alla Sanità Sergio Venturi -. L’obiettivo è restituire ai cittadini la possibilità di avere un diritto esigibile. Il problema non è solo commissariare qualcuno che sfonda i conti ma anche chi non riesce a garantire i diritti. Mini-commissari? Se cambia l’obiettivo devono cambiare anche i modelli e quindi presumo ci possano anche essere Regioni che si affianchino ad altre in difficoltà con più persone che si occupano di specifiche criticità».
A entrare nei dettagli della bozza sul nuovo Patto della salute ancora in discussione è Giulio Gallera, titolare del Welfare della Lombardia, virtuosa e quindi probabile Regione-pilota. «L’affiancamento, tramite tecnici in prestito, dovrebbe essere il primo passo. Se poi non sortisce effetti, su alcune attività specifiche si può passare a una fase più strong, cioè alla sostituzione di ruoli per singole attività. In questo scenario, aiuteranno a tenere la barra dritta costi standard e modelli predefiniti di intervento su temi caldi: dalle modalità di acquisto all’erogazione di prestazioni sanitarie, dall’organizzazione degli ospedali per reti hub&spoke al riordino delle cure primarie».
Ma cosa ne pensano gli assessori delle Regioni in affanno? «Ben venga un cambio di passo sotto forma però non di mini-commissari ma di piani di riqualificazione dei servizi sanitari regionali», afferma Alessio D’Amato, titolare della Sanità del Lazio, che a fine luglio dovrebbe uscire dal commissariamento imposto dai 2 miliardi di disavanzo monstre certificati nel 2007. «Oggi i nostri bilanci sono in regola e il punteggio Lea a quota 180 supera abbondantemente i 160 punti che ogni Regione deve totalizzare per essere adempiente rispetto ai Livelli essenziali di assistenza – ricorda D’Amato -. Ma l’attuale sistema di monitoraggio basato su 28 indicatori non è abbastanza sofisticato da evidenziare che, ad esempio, il Lazio è forte in prevenzione e ospedale ma carente sul territorio. È su questo gap che un affiancamento potrebbe esserci molto utile».
«Personale e territorio sono le nostre carenze più grandi – spiega invece la neo-assessora abruzzese Nicoletta Verì – ed è lì che auspichiamo si intervenga con il nuovo modello. Ci aspettiamo un piano di riordino che al di là dei meri coefficienti e parametri impiegati fino a oggi sia finalizzato alla qualità del servizio e orientato ad appropriatezza, efficacia ed efficienza. Quello che davvero interessa ai cittadini».
Marzio Bartoloni – Il Sole 24 Ore