Elena Dusi. Repubblica. I nuovi vaccini per le varianti sono già allo studio. Conferme della perdita di efficacia per ora non ci sono. Anzi, i test sono abbastanza rassicuranti. Ma nelle agende dei laboratori, senza troppo clamore, i lavori per riadattare il vaccino sono già stati inseriti. Di quelli di AstraZeneca parla oggi il Telegraph. Ma gli inglesi non sono certo i soli a portarsi avanti.
Tecnicamente non è un’operazione difficile. Stefania Capone, dell’azienda ReiThera di Castel Romano, spiega la procedura. «Partiamo dal genoma delle nuove varianti. Prendiamo la sequenza che codifica la proteina spike e la inseriamo nell’adenovirus che funge da vettore, sostituendo la sequenza precedente». In laboratorio per il prototipo ci vuole un mese. «Per i vaccini a Rna come Pfizer e Moderna l’operazione è ancora più semplice. Si tratta solo di sintetizzare il nuovo Rna della variante ». Sintetizzare un Dna o un Rna vuol dire mettere delle basi chimiche una dopo l’altra, operazione affidata alle macchine in ditte specializzate.
La spike è la punta della corona del coronavirus: la proteina scelta per stimolare il sistema immunitario. Tutti i laboratori del mondo, che hanno iniziato a lavorare sui vaccini prestissimo, hanno usato la spike che circolava a Wuhan. Nelle varianti, la punta della corona ha accumulato fino a 17 mutazioni. Non abbastanza, secondo gli esperti, per rendere inefficaci i vaccini. Ma l’evoluzione dei microrganismi, quando contagiano 600 mila persone al giorno e si replicano vorticosamente, è imprevedibile. Anche Andrew Pollard, responsabile del vaccino di Oxford, in un’intervista al British Medical Journal non ne fa un gran problema: «Si tratta di sintetizzare un nuovo frammento di Dna nel nostro caso, di Rna in quello di Pfizer e Moderna, e inserirlo nel nuovo vaccino».
L’incognita, semmai, è la procedura di approvazione. Gli enti regolatori come l’Ema in Europa e l’Fda negli Stati Uniti, richiederanno nuovi test? Nessuno lo sa, perché mai nessuno si è trovato in una situazione simile. Nelle interviste rilasciate, gli esperti hanno rassicurato che non dovrebbero essere ripetute tutte e tre le fasi di sperimentazione. Non ci sono infatti motivi per ipotizzare che cambi la sicurezza del vaccino.
Più complicato, invece, sarebbe identificare nuovi anticorpi monoclonali. Potrebbero volerci diversi mesi per l’intero processo. Emanuele Andreano è responsabile del progetto Covid-19 del Mad Lab di Toscana Life Sciences, che sotto la guida di Rino Rappuoli lavora ai monoclonali italiani: «Siamo partiti dal plasma di alcuni convalescenti. Abbiamo selezionato gli anticorpi più potenti e i linfociti che li hanno prodotti, mettendoli in coltura. La procedura ha richiesto 4 mesi». Poi è partita la produzione, che pure ha richiesto un paio di mesi. A differenza dei vaccini, che stimolano il sistema immunitario con l’intera spike, i monoclonali cercano il punto debole della punta della corona e concentrano lì il loro attacco. «Finora — assicura Andreano — gli anticorpi che abbiamo selezionato continuano a essere efficaci ». Il tallone d’Achille del virus, per ora, è ancora al suo posto.