Scattano indagini anche nel Veronese per scoprire se ci sono state fonti d’inquinamento chimico da Pfas in provincia. Un fascicolo è stato già aperto dal pm, ma in questi giorni si stanno effettuando ulteriori accertamenti per scoprire eventuali responsabili di quell’inquinamento che, secondo le prime stime fatte dall’Istituto superiore della sanità, ha interessato circa 72.000 veronesi, residenti nella Bassa e 250.000 persone in Veneto tra Padova e Vicenza. L’ipotesi è di smaltimento non autorizzato di sostanze inquinanti.
Ci sono indagini anche nel Veronese per scoprire se ci sono state fonti d’inquinamento nella nostra provincia. La notizia è emersa ieri m procura dove un fascicolo è stato aperto già alcune settimane fa dal pubblico ministero Francesco Rombaldoni, ma in questi giorni si stanno effettuando ulteriori accertamenti per scoprire eventuali responsabili di quell’inquinamento che, secondo le prime stime fatte dall’Istituto superiore della sanità, ha interessato circa 72.000 veronesi, residenti nella Bassa e 250.000 persone in Veneto tra Padova e Vicenza. Il riserbo tra gli investigatori è massimo tanto che non emerge neanche chi tra le forze dell’ordine sta conducendo le indagini. Viene a galla l’ipotesi di accusa di smaltimento non autorizzato di sostanze inquinanti. Nel mirino, in particolare, ci sarebbe un’industria chimica di Trissino, la Miteni, anche se non è escluso che anche altre realtà possano aver contribuito.
L’inchiesta, infatti, mettono le mani avanti gli investigatori, ha contorni ancora tutti da definire a partire dalle accuse da formulare a carico di eventuali responsabili. Tra gli addetti ai lavori, si parla anche di possibile disastro ambientale. In procura a Verona, però, si segue una linea molto prudente anche su questo tema. Quel tipo di reato ha dei requisiti molto stringenti come il deterioramento e compromissione irrevocabile del territorio compiuto abusivamente ossia senza alcuna autorizzazione. Adesso è troppo presto anche solo per ipotizzare questo reato. Non resta, quindi, che attendere lo sviluppo degli accertamenti disposti dalla procura di Verona per arrivare eventualmente ad ipotizzare anche l’accusa di disastro ambientale. «Nel caso si accertasse lo sversamento non autorizzato di sostanze nocive, il fascicolo passerebbe a Vicenza, la pro cura competente per territorio», è il commento del procuratore Mario Giulio Schinaia. «Nell’ipotesi, invece, di disastro ambientale, continuerebbe a essere competente la nostra procura». Gli inquirenti, d’altro canto, sono convinti che le fonti di quegli sversamenti d’inquinanti possono essere tantissimi. Il Pfas è utilizzato anche da moltissime aziende fino a chi costruisce pentole anti aderenti. E così gli investigatori stanno svolgendo verifiche sugli impianti di sversamento di alcune aziende veronesi una volta verificata la presenza di inquinanti in quelle zone. L’impressione, raccolta ieri, è che le indagini siano già a buon punto per arrivare presto a tirare le somme anche se gli inquirenti non si sbilanciano sui tempi in cui si potrà chiudere l’indagine. Non sono stati resi noti poi il tipo di accertamenti già svolti e da svolgere. E per i danni alla salute? Anche in questo caso, gli investigatori mantengono una linea molto prudente. In diritto penale, è fondamentale l’esistenza di un nesso causale tra la malattia e l’assunzione di sostanze inquinanti. Una prova molto difficile da acquisire anche se gli investigatori non disperano di arrivare a districare la matassa.
Con ogni probabilità, saranno presto acquisiti gli studi epidemiologici già svolti dall’Istituto superiore nel fascicolo dell’indagine e quelli che ieri la Regione ha annunciato per tutti i 250.000 residenti nelle zone dove i corsi d’acqua sono stati contaminati. Inoltre la procura ha affidato anche il compito all’associazione Legambiente di presentare una relazione sull’ipotesi di avvelenamento delle sostanze alimentari, destinate ovviamente al consumo umano. Sull’inquinamento provocato dai Pfas, sta indagando da tempo anche la procura di Vicenza.
I CONTROLLI ripartono ora a tutto campo e coinvolgeranno le categorie più coinvolte. L’incarico è in capo all’Istituto superiore di Sanità. «Per le acque ad uso irriguo – spiega la dirigente del Settore sanità regionale Francesca Russo – sono in corso incontri con le categorie agricole. L’Arpav ha predisposto un piano che prevede metodi di approvvigionamento differenziato per il Vicentino e il Veronese. Per quest’ultimo, in particolare, sarà fondamentale l’apporto e la diluizione consentita dal canale Leb». Quanto ai limiti riguardanti gli scarichi, però, ad oggi esistono solo pareri ma nessun provvedimento. E per quanto l’assessore regionale Luca Coletto continui a ripetere che i cittadini e la Regione sono in questa vicenda parti lese, resta il fatto che senza tali parametri è difficile che la magistratura persegua chi è causa dell’inquinamento, perché l’inquinamento stesso è legalmente difficilmente dimostrabile.
«Per questo qui non è ancora stato possibile applicare al principio secondo il quale chi inquina paga», commenta Marco Martuzzi dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Il rischio per i Comuni della Bassa è di rivivere il problema degli scarichi conciari inquinanti, che infiammò il confronto politico negli anni Ottanta e Novanta. Nonostante le azioni intraprese, a livello giudiziario non si arrivò mai alla condanna degli inquinatori ne a garantire indennizzi alle popolazioni e alle amministrazioni dei Comuni danneggiati.
L’Arena – 22 aprile 2016