Zaia e Tosi placano gli animi: «Ci conviene e Berlusconi non c’è» Gentilini: «Devastante». Covre: «Realpolitik, mandiamola giù»
VENEZIA — Uno pensa, magari ingenuamente: ma occorreva fare tutto questo pandemonio – le ramazze e i barbari sognanti, la Lega 2.0, l’addio al cerchio magico, il sovvertimento delle vecchie gerarchie con l’elezione ai vertici di Roberto Maroni e Flavio Tosi, il mantra ripetuto all’ossessione delle decisione finalmente prese dalla base – per poi andare, ancora e di nuovo, a braccetto con Silvio Berlusconi?
È la realpolitik, signore e signori, ben sintetizzata dalle parole del segretario veneto del Carroccio, Tosi: «L’accordo elettorale con il Pdl (siglato la notte scorsa a Milano, ndr) è vincente perché conviene anche al Veneto. E, soprattutto, è vincente perché è vantaggioso più per noi che per loro: le nostre possibilità di vincere la Regione Lombardia (candidato governatore lo stesso Roberto Maroni, ndr) sono ampie, mentre le possibilità di vincere a livello nazionale sono decisamente scarse. E Berlusconi, coma le Lega voleva, non sarà il candidato premier, come io non sarò mai ministro in caso di successo». Aggiunge il governatore Luca Zaia: «È un patto solidamente ancorato agli interessi del Nord: il 75% delle tasse della nostra regione, secondo l’accordo firmato con il Pdl, resteranno qui, e c’è un esplicito riconoscimento della macroregione del Nord. Inoltre, l’intesa consolida ancora di più l’alleanza a livello regionale». Concede Tosi: «Capisco che ci potranno essere anche dei mal di pancia, però questi sono i fatti».
Altro che mal di pancia. I leghisti di base e di fascia intermedia si sforzerebbero anche di essere realisti, in nome del potentissimo «asse del Nord» che si realizzerebbe con la conquista del Pirellone, ma il boccone richiede dosi massicce di eupeptici e magnesia per essere cacciato giù (vedi il sondaggio sopra sul sito del Corriere del Veneto: quasi mille votanti in un giorno e l’87% di contrari all’alleanza). Qualcuno, come lo Sceriffo di Treviso Giancarlo Gentilini, ha proprio deciso di rifiutare la pietanza: «Io non sono d’accordo con quanto ha fatto Maroni. L’ultimo governo Berlusconi-Bossi è stato uno dei più fallimentari della storia d’Italia, la gente non voterà più questo patto fra Lega e Pdl. Per questo doveva rimanere limitato alla Lombardia. E l’importante è che questo accordo non sia imposto anche ai Comuni». In evidente imbarazzo Giorgio Granello, l’uomo che ha conquistato la segreteria della Lega trevigiana spingendo a tutta sul pedale del rinnovamento: «Non sono contento di questa alleanza, per mesi abbiamo detto che non eravamo d’accordo, ma se il nostro segretario federale, eletto all’unanimità, ha ritenuto un accordo di questo tipo strategicamente interessante per la Lega, noi militanti non possiamo che appoggiarlo». Dalla militanza sale un voce collettiva di disorientamento: «Il termine esatto è: sconcerto – dicono i leghisti di base – il mal di pancia c’è, ed è forte. Ma in politica – concedono – valgono i numeri: o si insegue il grande sogno e si sta fuori dai giochi, oppure ci si tiene il mal di pancia e si gioca la partita. Se vinciamo anche in Lombardia, almeno non saremo più gregari del Pdl come le altre volte».
Dall’altra parte del tavolo, quella occupata dai pidiellini, i toni sono molto più distesi. Sostiene Marino Zorzato, numero due del partito in Veneto: «Questa è la politica che ragiona con i fatti, non con la pancia: non esistevano, per noi e per loro, alleanze alternative, e per non fare questo accordo non c’erano motivazioni vere. Insieme vinceremo in Lombardia e faremo sicuramente bene al Senato». Rinforza Valdo Ruffato, presidente pdl del consiglio regionale: «Era il buon senso che portava a questa intesa, sia per la Lombardia che per confermare l’alleanza nella nostra regione. Berlusconi non sarà il candidato premier? Lui farà da guida e da padre nobile, lasciando il giusto spazio a un rinnovamento della squadra».
Ma davvero il Veneto ha da guadagnarci con questa riedizione dell’alleanza che, tra alti e bassi, dura dal primo abbraccio del 1994? Massimo Bitonci, deputato e segretario della Lega padovana, la vede così: «La mia priorità è il Veneto e sono convinto che il Veneto potrà riscattarsi dal centralismo romano solo se riuscirà a costituire un blocco forte che, partendo da Torino, transiti per il Pirellone, dove si insedierà il nuovo governatore lombardo: Roberto Maroni». L’eretico Bepi Covre, autore con Marzio Favero (sindaco di Montebelluna) del manifesto per una nuova Lega, racconta di averne parlato a fine anno con Maroni, incontrato casualmente a Roma: «Gli ho raccontato come la vediamo qui da noi, con due premesse molto forti. La prima: vincere in Lombardia sarebbe fondamentale per avviare dal Nord un progetto federale, nonostante Roma, attraverso buone pratiche di governo locale che vanno dall’unione dei Comuni all’applicazione dei costi standard. Seconda premessa: la nostra militanza – sottolinea l’ex deputato e sindaco di Oderzo – non vuole più sentir parlare di Berlusconi, a cui chiede non uno, ma dieci passi indietro. Realizzate queste due premesse, l’accordo si può anche mandare giù, in nome della realpolitik. Possiamo permettercelo – sorride Covre – anche perché, realisticamente, queste elezioni le vincerà Bersani: noi dobbiamo concentrarci sulla strategia per un Nord protagonista». Un po’ di opposizione, nella vita, serve sempre.
Alessandro Zuin – Corriere del Veneto – 8 gennaio 2013