I tre quarti dei rapporti di lavoro accesi negli ultimi due anni è fatto da contratti temporanei nelle diverse forme.
Significa che una sola assunzione su cinque è sottoscritta con contratti a tempo indeterminato, mentre gli altri sono contratti che hanno una scadenza. Le formule sono tra le più diverse: nel lavoro dipendente ci sono il lavoro a termine, la somministrazione (ex interinale), l’apprendistato; nel lavoro autonomo i contratti di collaborazione (cococo, contratti a progetto). E’ ciò che emerge dalle comunicazioni obbligatorie tra il 2009 e il 2010: oltre 15 milioni di rapporti di lavoro tra primo impiego e cambio di lavoro. Ma non tutte le forme temporanee sono uguali.
Somministrati e non. Le più tutelate sono il lavoro in somministrazione e il lavoro a termine (a tempo determinato). Diverse sono le analogie. Per esempio, entrambe sono a scadenza e fatto salvo il termine, che può essere diverso, entrambe garantiscono lo stesso trattamento, lo stesso stipendio e gli stessi diritti del lavoro a tempo indeterminato. Le differenze consistono nel fatto che la selezione e le pratiche burocratiche sono a carico di società specializzate (agenzie) nel caso dell’interinale, a carico dell’azienda che assume nel caso del contratto a termine. La stabilizzazione è prevista dopo i 36 mesi nel caso di lavoro a termine, a 36-42 mesi nel caso della somministrazione. Inoltre, il lavoratore somministrato può godere del welfare di categoria (Ebitemp, Formatemp): formazione, contributi per spese sanitarie, prestiti e agevolazioni per asili nido, non previsti nel lavoro a termine.
Quanti sono. In generale, il lavoro interinale vale il 10-13% degli altri contratti a termine. Vuol dire che al primo trimestre 2009 l’interinale valeva 206mila lavoratori, contro i poco più di 2milioni dei lavoratori a termine. Da allora alla fine del 2010 la quota della somministrazione è cresciuta sino a 270mila unità, mentre il lavoro a termine ha raggiunto i 2,2 milioni.
Dove sono. Un’altra differenza tra le due tipologie più tutelate è la presenza settoriale. I contratti a termine sono più diffusi in maggioranza nei servizi, mentre i contratti in somministrazione sono distribuiti quasi equamente nell’industria e nei servizi. Rispetto al tempo determinato l’occupazione interinale appare quindi maggiormente orientata verso l’industria. Solo il 22% dell’occupazione a termine è impiegato nell’industria contro il 47% degli interinali. Nei servizi è occupato il 68% dei lavoratori a termine contro il 53% degli interinali. Ciò contribuisce a spiegare la forte caduta dell’occupazione interinale in concomitanza della crisi del 2008, che ha interessato in primo luogo l’industria.
Flessibilità. L’interinale ha svolto il ruolo di componente flessibile all’interno della più generale flessibilità rappresentata dall’occupazione a carattere temporaneo (interinali, tempo determinato senza intermediazione, stagionali, apprendistato). Ma tutto questo è dovuto allo squilibrio settoriale dell’occupazione interinale, fortemente caratterizzato dal forte peso dell’industria. Allo stesso tempo l’occupazione interinale mostra una maggiore sensibilità e una più rapida ripresa rispetto all’occupazione complessiva e a tempo determinato.
Assolavoro. “Il lavoro in somministrazione è diffuso da più tempo e in maniera più consistente nelle aziende con la produttività più alta”, spiega Federico Vione, presidente Assolavoro, l’Associazione nazionale delle agenzie di lavoro, “Che sono le prime che ne hanno sperimentato i vantaggi per poi strutturare con le agenzie un partenariato stabile nel tempo. Oggi la preferibilità della somministrazione rispetto al contratto a termine, ormai obsoleto, è nota a un numero sempre maggiore di imprese, anche di dimensioni non elevate. La possibilità di attingere a un database molto ampio di figure professionali, la garanzia di una selezione da parte di operatori specializzati, la tempestiva accessibilità a una formazione fortemente finalizzata e la liberazione da tutti gli aspetti amministrativi e legali sono i principali vantaggi per l’imprenditore. Per i lavoratori va sottolineato il welfare categoriale”.
Lastampa.it – 21 marzo 2011