Tre italiani su 4 dicono di sentirsi a proprio agio solo quando mangiano cibo italiano. E, anche per questo, mangiano “ solo” cibo italiano. Tuttavia, le loro abitudini stanno cambiando. In fretta. In particolare, una quota della popolazione, per quanto limitata ( 7%), si è adeguata a un’alimentazione priva di carne. Questi italiani preferiscono il pesce. Una componente ristretta è vegetariana. In misura minima: vegana. Rinuncia, cioè, a qualsiasi derivato animale.
Ilvo Diamanti, Repubblica. Il cibo e la cucina sono parte importante del “patrimonio nazionale”. Come l’arte e il paesaggio. Contribuiscono ad attrarre turisti da tutto il mondo. A trainare la nostra economia. Il nostro reddito. Perché il nostro cibo è “esportato” dovunque. (talora contraffatto). Il cibo e la cucina: contribuiscono a migliorare la qualità della (nostra) vita. Naturalmente, se non si esagera. Se a tavola – oppure per strada – il cibo viene consumato, pardon, mangiato, con “ misura”. Senza sprechi. E senza strafare. Ma, almeno qualche volta, i piaceri vanno gustati senza risparmiare e risparmiarsi. Non è sempre quaresima. Tuttavia, siamo assediati dal cibo. E soprattutto dai cuochi. Che incombono in Tv, a ogni ora, in ogni rete.
Come il mitico Alain Tonné, protagonista del recente, ironico libro di Antonio Albanese: Lenticchie alla julienne (Feltrinelli). Proprio per questo motivo è interessante indagare sulle abitudini alimentari degli italiani. Mentre la globalizzazione procede rapidamente. E si realizza anche attraverso il cibo e la cucina. Meglio: i cibi e le cucine. D’altra parte, i confini: non ci “ difendono” più, come rammentano i flussi migratori, che generano inquietudine. Lo abbiamo mostrato nella Mappa pubblicata alcuni giorni fa.
Insomma, « il mondo cade su di noi » come recita una canzone dei Rokes, molto nota quando io ero ancora giovane. Perché tutto ciò che avviene dovunque (rammenta Anthony Giddens) può avere effetti immediati sulla nostra vita. Sui nostri stili di vita. Sui nostri “ gusti”. Il cibo e la cucina, ci permettono, di affrontare l’impatto della globalizzazione da una prospettiva comprensibile e sicuramente più gradevole. A tutti.
Il cibo italiano, d’altronde, ha promosso e globalizzato la nostra immagine dovunque. E oggi avviene anche il contrario. Favorisce il nostro rapporto con gli altri. Grazie al cibo e alla cucina di Paesi e popoli lontani.
Che oggi stanno vicino a noi, agli angoli delle strade, nelle piazze. Con i loro prodotti. I loro gusti. Il sondaggio condotto negli ultimi giorni da Demos (per la Fondazione Barilla) fornisce, al proposito, molte suggestioni interessanti. Sottolinea, anzitutto, che gli italiani sono ancora saldamente legati alla loro tradizione.
Almeno, in cucina. Infatti, 3 italiani su 4 dicono di sentirsi a proprio agio solo quando mangiano cibo italiano. E, anche per questo, mangiano “ solo” cibo italiano. Tuttavia, le loro abitudini stanno cambiando. In fretta. In particolare, una quota della popolazione, per quanto limitata ( 7%), si è adeguata a un’alimentazione priva di carne. Questi italiani preferiscono il pesce. Una componente ristretta è vegetariana. In misura minima: vegana. Rinuncia, cioè, a qualsiasi derivato animale.
Uova, latte e formaggi compresi. Oltre metà degli italiani, peraltro, ritiene che fra 10 anni presteremo più attenzione ai prodotti del territorio. E saremo maggiormente attratti da cibi vegani e vegetariani. Ma anche dalle cucine etniche.
Già oggi, oltre metà degli italiani afferma di recarsi in ristoranti etnici “qualche volta l’anno”. Spesso, di comprare o, perfino, cucinare, cibo etnico.
Sul piano alimentare, i “ nazionalisti”, cioè gli “ integralisti” del cibo italiano, sono in larga maggioranza. Quasi i due terzi. Mentre il 20% mostra un orientamento opposto. Aperto a tutte le esperienze alimentari. Naturalmente, i più “ globalizzati” mostrano preferenze diverse. Le “cucine etniche” più frequentate sono, sicuramente, quelle orientali.
Giapponese e cinese. Privilegiate (come prima e seconda scelta) da circa 4 italiani su 10. Anche perché propongono un’offerta più diffusa. Seguono i ristoranti sudamericani e indiani. Mentre quelli arabi non suscitano altrettanta passione.
Nonostante che il couscous e soprattutto il kebab siano, ormai, diffusi un po’ dovunque, in Italia. Vengono, però, percepiti come fast food. Buoni per un consumo rapido. Come le piadine e le pizza al trancio.
L’apertura verso il cibo e verso le cucine etniche risulta, ovviamente, maggiore fra i più giovani. Ma, nel sondaggio Demos (per la Fond. Barilla) le distanze, rispetto ai più anziani, non sembrano eccessive. Conta, maggiormente, l’ambiente di vita. La città: tanto più è grande, tanto più favorisce il consumo di cibi etnici. Anzitutto per ragioni di offerta. La maggiore presenza di locali, punti di vendita ( e venditori) di questi cibi. Ma anche di consumatori (stranieri).
In altri termini: la globalizzazione delle nostre abitudini e dei nostri gusti dipende dalla globalizzazione del nostro ambiente di vita. Il mondo cambia il “nostro” mondo. Non solo perché i cuochi incombono dovunque, in tv. Ma perché a ogni angolo e in ogni piazza troviamo un kebab, un sushi bar, un locale di cucina cinese o indiana.
Così, almeno per il cibo, stiamo diventando cittadini del mondo. Un po’ più del passato. Perché nessuno e nulla al mondo potrà costringerci a rinunciare alla “ nostra” pasta. Alla “ nostra” cucina.
Repubblica – 4 dicembre 2017