Se vorrà davvero centrare l’obiettivo lanciato dal ministro della Semplificazione Roberto Calderoli di cancellare 50mila posti abbondanti da politico locale, la manovra dovrà probabilmente trovare in Parlamento qualche via aggiuntiva.
Quelle previste dal decreto legge approvato dal Governo, infatti, non sembrano sempre andare dritte al traguardo, e rischiano di portare a casa un bottino alleggerito: più di un’abrogazione su cinque, in realtà, è decisamente a rischio.
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Il primo nodo è rappresentato dalle Regioni a Statuto speciale: «l’ordinamento degli enti locali», per esempio, occupa il secondo posto nell’elenco delle materie su cui la Regione ha «potestà legislativa» secondo lo Statuto della Regione Sardegna, che può modificare l’assetto delle Province «con legge regionale» o «istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni» (articoli 44 e 45).
Il caso della Sardegna avrebbe dovuto essere istruttivo, perché l’opposizione statale all’istituzione delle nuove Province nel 2001 è stata coronata dall’insuccesso, e lo Stato centrale trasferì il conflitto sul tema (residuale) dei trasferimenti statali, ma non è l’unico. Nello Statuto della Regione Sicilia (articolo 15) si legge ancora più chiaramente che «spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l’esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali», mentre a Nord «l’ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» è stato aggiunto nel 1993 alle materie su cui la Regione Friuli Venezia Giulia ha «potestà legislativa» (articolo 4, comma 1-bis).
Carte alla mano, insomma, il conflitto fra le regole statali e le difese regionali è più che probabile, ed è peraltro già stato annunciato da alcuni dei diretti interessati. Un conflitto che, dati alla mano, potrebbe costare quasi 11mila dei 50mila posti messi a bilancio dalla manovra bis: in bilico, insomma, ci sarebbe il 22 per cento delle abolizioni.
Il quadro, in realtà, è più complesso, perché la parola d’ordine del taglio ai «costi della politica» ha fatto breccia in questi mesi anche in alcuni dei territori a Statuto autonomo, con risultati tuttavia ancora tutti da delineare. In Sicilia, per esempio, il progetto di abolizione delle Province lanciato dall’assessore al Bilancio Gaetano Armao sta infiammando la polemica da un anno (mentre all’Assemblea regionale è arrivato in commissione Affari istituzionali il Ddl per l’istituzione della Provincia di Gela), e anche in Sardegna il presidente Ugo Cappellacci si è detto disponibile a «un’azione di rottura per l’abolizione delle Province». Se abolizione sarà, insomma, sarà per volontà dei parlamenti regionali.
Il grosso dei numeri annunciati da Calderoli, però, è altrove, e si concentra nei Comuni, dove l’opposizione alle misure previste dal decreto della manovra-bis è ampia. Dei 50mila posti da cancellare, 47mila (il 95%) è portato dalle due regole sui Comuni più piccoli, che passano dalla cancellazione integrale di Giunte e consigli quando gli abitanti non superano le mille unità e dal drastico taglio degli organismi rappresentativi negli altri casi. Su questo terreno il rischio è quello del paradosso: una rasoiata sui piccoli Comuni delle Regioni ordinarie, dove i gettoni valgono poche decine di euro, e un nulla di fatto nei territori autonomi, che hanno regole spesso assai più generose. In Trentino Alto Adige, per esempio, le indennità sono state aumentate nel 2010, e in provincia di Bolzano il sindaco di un comune di 2.500 abitanti ha diritto a 4.124 euro al mese (nell’Italia «ordinaria» per raggiungere quella cifra servono 100mila abitanti), ridotta di un quinto (anziché dimezzata) se l’incarico non è svolto a tempo pieno.
In generale, comunque, i soldi veri sono in Regione, dove però tutti i 376 posti da cancellare sono a rischio, a prescindere dal grado di autonomia dello Statuto. In nessun caso, infatti, lo Stato può intervenire direttamente sulla politica regionale, per cui anche nelle Regioni ordinarie la sforbiciata è lasciata alla buona volontà degli interessati. L’incentivo, in questo caso, è legato alla possibilità di essere collocati nella classe dei «virtuosi» ai fini del Patto di stabilità, che però nelle Regioni ha un peso molto relativo perché non interessa la spesa sanitaria. Per i territori autonomi, invece, la dieta a consigli e giunte è condizione indispensabile per l’applicazione delle norme di attuazione nei loro confronti del federalismo fiscale: un’altra “minaccia” che rischia di essere spuntata, visto l’alto grado di autonomia fiscale di queste Regioni
Ilsole24ore.com – 21 agosto 2011