L’Inps manda loro assegni molto più generosi dei contributi che hanno versato
I pensionati italiani all’estero? Sono 373 mila e incassano quasi un miliardo all’anno dall’Inps, sottraendo – seppur legittimamente – imposte e consumi alla madrepatria. Per fare un paragone, parliamo di una città grande quasi come Firenze. Sparsa per i continenti, ma per metà in Europa. Dove gettonatissimo è ancora il Portogallo, il paradiso fiscale delle pantere grigie: dieci anni a tasse zero, in cambio della residenza non abituale. E dunque, a patto di vivere almeno 183 giorni all’anno in loco, tra le meraviglie di Porto e Lisbona e con un costo della vita assai abbordabile, i pensionati italiani si ritrovano un assegno che lievita anche di un terzo. Altrettanto ambite, sebbene fiscalmente meno generosi, Bulgaria, Romania, le isole Canarie. E l’America Latina, con un rinnovato interesse per il Costarica.
Non di soli scaltri nonnetti si tratta, però. Lo zoccolo duro di chi risiede all’estero e lì percepisce la pensione è fatto da emigranti che “totalizzano”, cioè sommano da un punto di vista previdenziale, i periodi di lavoro in patria e fuori. Tutto fattibile, secondo le regole e gli accordi bilaterali. Se non fosse – a detta del presidente Inps Tito Boeri che ieri ha presentato una relazione in Parlamento – per quello «iato», la differenza «tra entità e durata dei contributi versati e possibilità di accedere alle prestazioni». Laddove le seconde sono «molto al di là» dei primi. Nel mirino di Boeri finiscono le prestazioni «assistenziali », che a differenza di quelle previdenziali (la pensione calcolata in base agli anni di lavoro) vengono erogate in presenza di contributi molto bassi o addirittura inesistenti.
Così si scopre, grazie ai nuovi dati Inps, che l’83% delle pensioni pagate all’estero corrisponde a una contribuzione inferiore ai dieci anni, il 70% sotto i sei anni e più di un terzo meno di tre. Assegni dunque estremamente bassi. Alcuni davvero micro, dieci o venti euro al mese, incassati una volta l’anno in gennaio (per questo il dato Inps dello scorso giugno rileva quasi 356 mila pensioni estere, mentre quello complessivo 2016 è pari a 373 mila). Ma il punto dolente, secondo Boeri, sta altrove. Ovvero nelle erogazioni “non contributive”. Come integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali e quattordicesime.
Le prime due – che scattano per rimpolpare assegni risicati, 80 milioni di euro spesi nel 2016 per quasi 38 mila pensionati “esteri” – non solo non sono coperte dai contributi versati, ma rappresentano «un’uscita per lo Stato che non rientra nel circuito economico del Paese sotto forma di consumi». O di tasse. Altro discorso per la quattordicesima mensilità che spetta a tutti gli over 64 con un reddito fino a 13 mila euro, alzato dal governo Renzi. In questo caso, anche per via delle nuove norme, la spesa estera è più che raddoppiata: da 15,4 milioni a 35,6 milioni di euro (+131%). E così i beneficiari: da 46 mila a quasi 89 mila (+93%). Il 40% dei percettori risiede in Europa, quasi il 50% nel continente americano. Posti, secondo Boeri, «in cui esistono già redditi minimi garantiti». Questo significa «che il nostro Paese sta riducendo gli oneri per spesa assistenziale di altri Paesi». Insomma, non solo rinuncia a tasse e consumi. Paga pure l’assistenza per conto di altri. Questi pensionati sarebbero dunque “ladri” di Pil, seppur senza violare la legge? No, reagiscono i sindacati. Ricordando che la quattordicesima non è misura assistenziale, ma previdenziale perché esiste solo a fronte di contributi versati.
Repubblica – 20 luglio 2017