di Enrico Marro. Tutta Italia sa che i lavoratori dipendenti che guadagnano fino a 25 mila euro lordi l’anno riceveranno, con la busta paga di maggio, un aumento dello stipendio netto di circa 80 euro al mese. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, precisando che non si tratta di una promessa, ma di un impegno formale, approvato in una relazione votata dal Consiglio dei ministri di mercoledì.
Impegno che però per tradursi in realtà dovrà superare in tempi rapidissimi un percorso a ostacoli, interni e internazionali. In Parlamento, ai sensi del nuovo articolo 81 della Costituzione, e a Bruxelles per rispettare le nuove procedure di sorveglianza sui bilanci degli Stati europei. Ma andiamo con ordine.
L’aumento dello stipendio
Lo sgravio fiscale e quindi l’aumento dello stipendio netto potrà essere operativo solo con un decreto legge che aumenterà le detrazioni da lavoro dipendente. Ma se è già tutto deciso, come ha detto Renzi, perché il Consiglio dei ministri non ha approvato questo decreto? Perché l’aumento delle detrazioni comporterà minori entrate fiscali per circa 6,6 miliardi nel 2014 (i 10 miliardi su base annua al netto del periodo gennaio-aprile) e le coperture finanziarie necessarie non sono ancora state individuate con precisione. Non solo. Renzi ha deciso che una parte dei 6,6 miliardi non verranno coperti e quindi aumenterà il deficit 2014. Questo, secondo il presidente del Consiglio, non è un problema, perché attualmente si stima che il deficit sarà quest’anno pari al 2,6% del prodotto interno lordo e quindi 0,4 punti sotto il tetto del 3% fissato dalle regole europee. Solo che prendere delle misure non coperte e quindi finanziate con l’aumento del deficit è da quest’anno molto più complicato perché è necessario il via libera della Commissione europea e del Parlamento italiano. Il nuovo articolo 81 della Costituzione, che ha recepito il patto europeo sull’introduzione dell’obbligo del pareggio di bilancio (Fiscal compact), dice che «il ricorso all’indebitamento» è consentito solo «previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti». Solo dopo questo voto di Camera e Senato il governo potrà approvare in Consiglio dei ministri il decreto legge con le nuove detrazioni. Ma la legge 243 del 2012 che disciplina la procedura prevista dal nuovo articolo 81 dice che il governo presenta la richiesta di indebitamento alle Camere «sentita la Commissione europea». È evidente quindi che da subito deve essere aperta una trattativa con Bruxelles per portare a termine l’operazione in tempo. Il tutto mentre la Commissione ha già calendarizzato il normale percorso di esame dei conti degli Stati membri, che prevede invece tempi più lunghi.
Gli squilibri dell’Italia
L’Italia, che giusto qualche settimana fa, è stata dichiarata dal commissario Olli Rehn Paese con «squilibri eccessivi» di finanza pubblica è già un sorvegliato speciale. Questo significa che il Piano nazionale di riforma (Pnr) e il Programma di stabilità e convergenza (Psc) che il nostro governo deve presentare a Bruxelles entro il 10 aprile subiranno un esame severissimo. La Commissione potrebbe bocciare la decisione dell’esecutivo di finanziare in deficit parte del taglio del cuneo fiscale e formalizzare ciò nelle «raccomandazioni» per l’Italia che formulerà il 2 giugno e che il successivo Ecofin di fine giugno-inizio luglio dovrà approvare. Come si vede si tratta di date incompatibili con la decisione di Renzi di dare l’aumento già a maggio. Il decreto legge dovrà infatti essere approvato al massimo entro la fine di aprile, per dar tempo di cambiare le buste paga. Il via libera di Bruxelles serve subito.
Il cuneo fiscale
In mancanza al governo non resterebbe che rinunciare all’idea di finanziare il cuneo in deficit e trovare altre coperture certe. Dove? Al Tesoro nei giorni scorsi sono stati esaminati anche tagli a previdenza e assistenza. Il commissario per la spesa pubblica, Carlo Cottarelli, ha suggerito di attingere all’enorme serbatoio delle pensioni, mettendo un contributo su tutte quelle sopra 2 mila euro, per un incasso di almeno un miliardo di euro. Ma ieri Renzi ha bocciato seccamente questa ipotesi, avocando così a Palazzo Chigi anche la spending review.
Corriere della Sera – 14 marzo 2014