Michela Nicolussi Moro, il Corriere Veneto. Nonostante le Commissioni congiunte Affari Costituzionali e Bilancio del Senato venerdì avessero dichiarato «improponibile» l’emendamento al decreto Milleproroghe, già bocciato in sede di legge di Bilancio, che voleva elevare a 72 anni su base volontaria l’età pensionabile dei medici del Servizio pubblico e convenzionati, nel Veneto si continuano a ingaggiare gli specialisti a riposo. Lo consente una delibera del 26 marzo 2019 con la quale la giunta regionale autorizza le aziende sanitarie a «conferire incarichi di lavoro autonomo al personale medico in quiescenza, al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza», perché di specialisti non se ne trovano. Nella regione ne mancano fra tremila e quattromila. E sono proprio tremila i camici bianchi sotto i 75 anni «ingaggiabili», anche se al momento poche decine hanno scelto di restare al lavoro o di tornarci.
Perlomeno nel pubblico, dove i liberi professionisti, così come i camici bianchi dipendenti disponibili a coprire qualche turno in più nei reparti sguarniti (Pronto Soccorso in testa), guadagnano 100 euro lordi l’ora. Contro un compenso garantito dalle coop compreso tra i 720 e i 1800 euro per turno di 12 ore, a seconda del reparto. «Tanto di cappello a chi vuole restare nel pubblico — commenta Giusi Bonavina, direttore generale dell’Usl Berica — ci sono figure carismatiche che non hanno voglia di andare in pensione e per noi sono una risorsa. Ancora non possiamo contare su numeri importanti, anche perché non c’è stato un esodo pensionistico elevato (200 ospedalieri a riposo all’anno nel Veneto, ndr ), però ricevo più richieste da parte di camici bianchi desiderosi di restare in reparto almeno fino a 70 anni e di over 70 che non vogliono andare via, piuttosto che domande di quiescenza anticipata. Abbiamo sottoscritto contratti libero professionali anche con medici di famiglia pensionati». Ma sul punto i sindacati di categoria sono divisi. Solo l’Anpo, che rappresenta i primari, è d’accordo sulla linea tracciata dal Veneto. Tutti gli altri hanno firmato una nota per dichiarare la loro contrarietà al ritorno in corsia dei pensionati. «C’è carenza di organico, questa opportunità è su base volontaria, quindi non ci vedo nulla di male — dichiara Giampiero Avruscio, presidente di Anpo Padova e primario di Angiologia in Azienda ospedaliera — anche perché i colleghi più anziani possono insegnare molto ai giovani. Il problema semmai è trovarne di disponibili a tornare nel pubblico, viste le condizioni economiche inadeguate anche a pieno servizio, alla base della continua fuga di camici bianchi nel privato (1.582 hanno dato le dimissioni dagli ospedali veneti tra il 2019 e il 2021, ndr ) ».
«E infatti sono più i colleghi che chiedono di andare a riposo con quota 100 di quelli disposti a rientrare in corsia — rivela Luca Barutta, segretario regionale dell’Anaao Assomed —. Gli unici desiderosi di mantenere la posizione sono appunto primari e baroni universitari, più per tenersi il loro giocattolo che per spirito di servizio. Tanto loro mica si devono alzare la notte per andare in sala operatoria, o in sala parto o al Pronto Soccorso, nè coprire migliaia di ore di straordinari non pagati. Ma chi questa vita l’ha fatta per più di 30 anni quando arriva ai 65 non ha nessuna voglia di continuare fino a 72. E poi — chiude Barutta — l’errore per stanchezza è sempre dietro l’angolo». Ed è uno dei motivi alla base del «no» collettivo delle sigle di categoria. «L’età media dei medici italiani, 55 anni, è già la più alta d’Europa — ricorda Giovanni Leoni, segretario regionale della Cimo — e il sistema in questo momento è carente di camici bianchi soprattutto nei reparti di urgenza-emergenza, che richiedono forze giovani. Il ricorso a pensionati può essere un provvedimento temporaneo per colmare carenze non superabili in altro modo». Carenze destinate ad aggravarsi con i futuri pensionamenti e nel frattempo a soffrire sono soprattutto i reparti di Pediatria, Anestesia e Rianimazione, Medicina d’urgenza, Medicina interna, Chirurgia generale, Radiodiagnostica, Cardiologia, Ginecologia e ostetricia, Psichiatria, Ortopedia e Traumatologia. Ovvio dunque la disponibilità delle Usl a richiamare in particolare i medici afferenti a queste specialità.
Una battaglia portata avanti prima ancora dello scoppio della pandemia dal governatore Luca Zaia, che ripete: «Non capisco perché a 70 anni dovrebbe appendere il camice al chiodo un camice bianco in perfetta salute, con un curriculum di alto livello, un bagaglio professionale unico e migliaia di ore in reparto o in sala operatoria alle spalle».