Arriva il parere negativo delle Regioni in sede di Conferenza Stato Regioni al decreto liste d’attesa attualmente all’esame della commissione Sanità del Senato. Unico voto a favore è stato quello del Lazio. In attesa dei pareri del Governo agli emendamenti depositati, cosa che ha fatto slittare la prosecuzione dei lavori alla prossima settimana, le Regioni sottolineano quanto sia per loro
“imprescindibile” lo stralcio dell’articolo 2 e la sua riscrittura con le modifiche da loro richieste. Ma dal Ministero della Salute è arrivato un secco “no”.
L’attuale formulazione dell’articolo viene infatti definita dai presidenti “quanto meno lesiva del principio di leale collaborazione, laddove prevede che a fronte delle segnalazioni di cittadini, enti locali ed associazioni di categoria (che dovrebbero essere innanzitutto trasmesse alle Regioni interessate) l’Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria possa accedere presso le Aziende sanitarie, scavalcando le Regioni e le Province Autonome, anche avvalendosi del supporto del Comando Carabinieri per la tutela della salute (anziché delle Regioni stesse)”.
Le Regioni valutano che l’attuale formulazione, ove non emendata, presenti dei “profili di illegittimità costituzionale” e considerano quantomeno necessaria una “riscrittura condivisa di questo articolo che, nel prevedere lo svolgimento dei monitoraggi e dei controlli delle prestazioni sanitarie sulla base di dati raccolti nella Piattaforma nazionale delle liste di attesa di cui all’articolo 1, abbia un chiaro riferimento nella collaborazione interistituzionale e nel rispetto delle rispettive competenze istituzionali: lo Stato controlla le Regioni, le Regioni controllano le Aziende sanitarie e si confrontano con il livello ministeriale. Non è condivisibile che gli esiti delle verifiche costituiscano elementi di valutazione del Ministero della Salute ai fini dell’applicazione di misure sanzionatorie e premiali nei confronti dei responsabili regionali o aziendali, inclusa la revoca o il rinnovo dell’incarico in quanto tale valutazione rientra nelle competenze regionali”.
Ricordiamo che in commissione Sanità è depositato un emendamento della Lega che chiede lo stralcio di questo articolo. Emendamento che, in caso di ritiro, le opposizioni hanno già annunciato di voler far proprio. In subordine allo stralcio integrale dell’articolo 2, le Regioni hanno provato a proporre una modifica del testo normativo, “costituzionalmente orientata”.
Più in generale nel documento le Regioni sottolineano come un’efficace attuazione di misure di contenimento dei tempi di attesa “non può prescindere dalla disponibilità di congrue risorse economico-finanziarie aggiuntive e di adeguate risorse umane”. L’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati, “l’assunzione di personale ed il ricorso alle prestazioni aggiuntive (preferibili rispetto all’attività libero professionale intramuraria), lo svolgimento di attività sanitaria in orario notturno, prefestivo e festivo, gli indispensabili adeguamenti tecnologici e gli aggiornamenti informatici, necessitano di un’adeguata disponibilità di risorse economiche e di personale. È necessario procedere alla quantificazione dei maggiori oneri attesi, all’esplicitazione delle risorse disponibili a legislazione vigente ed al reperimento delle risorse eventualmente mancanti”.
Per le Regioni si deve infatti considerare che le risorse per il recupero delle liste d’attesa contenute nella manovra “potrebbero essere già state utilizzate per l’attuazione dei propri Piani regionali e provinciali di contenimento dei tempi di attesa, nel qual caso il Decreto sarebbe privo di qualunque finanziamento“.
“Considerato che il livello di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale è notoriamente sottodimensionato, rispetto a quello dei principali Paesi europei, e sta determinando serie difficoltà in tutte le Regioni, incluse quelle che il Ministero della Salute ha collocato ai primi posti per la qualità dell’assistenza sanitaria, ad assicurare l’equilibrio economico-finanziario dei bilanci sanitari, le Regioni non sono nelle condizioni di finanziare il costo di misure ed interventi aggiuntivi, seppur condivisi per la finalità, poiché il Fondo Sanitario Nazionale è già largamente insufficiente“, spiegano.
Infine, quanto all’articolo 5 sul superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario, per le Regioni si introducono qui “limitate ed insufficienti novità per l’anno in corso e poche novità anche per l’anno 2025, peraltro condizionate alla definizione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli Enti del Ssn ed alla conseguente approvazione del Piano dei fabbisogni triennali regionali del personale”. La definizione di tale metodologia rischia, però, di rivelarsi “priva di reale efficacia, atteso che la norma prevede che la sua adozione avvenga comunque “in coerenza con i valori di cui al comma 1” dello stesso articolo 5, vale a dire nell’ambito degli attuali tetti di spesa per il personale. Peraltro, trattandosi di una misura organizzativa in attuazione di una metodologia ministeriale, la prevista approvazione da parte del Ministero della Salute appare invasiva delle competenze regionali”.
Giovanni Rodriquez