L’ultimo rapporto della Ragioneria generale dello Stato: tra il 2019 al 2023 dalle deroghe alla «Fornero» un maggiore peso sul Pil di oltre lo 0,4% l’anno. Per effetto della stretta delle ultime due manovre ci sarà un minore impatto dello 0,1% nei prossimi anni. Il picco delle uscite nel 2040: 17% del Prodotto interno
Quasi 40 miliardi in soli cinque anni: tra il 2019 e il 2023. È il conto, in termini di maggiore impatto della spesa pensionistica sul Pil, pagato alle deroghe alla legge Fornero e alle riforme precedenti, a cominciare da Quota 100, ma anche, seppure in misura molto più contenuta, da Quota 102 e 103. A quantificarlo è l’ultimo rapporto della Ragioneria generale dello Stato sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario, con cui vengono leggermente corrette le previsioni formulate con la Nadef 2023, tenendo conto del quadro aggiornato del Def 2024 (anche se sprovvisto degli obiettivi programmatici), dell’ultima proiezione Istat sull’andamento demografico e delle misure introdotte nella legge di bilancio 2024 per far scattare una stretta di pensionamento anticipato e rafforzare il taglio dell’indicizzazione sugli assegni d’importo più elevato.
Dalle deroghe alla «Fornero» oltre 0,4 punti di Pil di spesa in più l’anno
Nel dossier si sottolinea che i vari interventi con i quali, a partire dal 2004, sono state ammorbidite le riforme varate dai primi anni ’90, determinando «un ampliamento della spesa e una retrocessione nel percorso di elevamento dei requisiti di accesso al pensionamento», hanno prodotto nel periodo 2019-2023, nel cosiddetto “scenario nazionale”, «una maggiore incidenza della spesa in rapporto al Pil pari in media a oltre 0,4 punti l’anno». E tra le principali misure indiziate di questo appesantimento dei conti c’è Quota 100, la possibilità di uscita anticipata con 62 anni e 38 di versamenti, che è stata pienamente operativa in via sperimentale dal 2019 al 2021. Ma la Ragioneria fa notare che «anche gli anni successivi al 2021 risentono degli effetti di questa misura per il carattere pluriennale del periodo di anticipo del pensionamento consentito».
I positivi effetti sui conti del metodo contributivo
Dopo questa impennata, dal 2044 l’impatto delle uscite per pensioni sul Pil diminuirà prima gradualmente e poi rapidamente scendendo al 16% nel 2050, e successivamente al 13,9% nel 2070, grazie «all’applicazione generalizzata del calcolo contributivo che si accompagna alla stabilizzazione, e successiva inversione di tendenza, del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati». La Ragioneria ribadisce anche l’insieme degli interventi di riforma del sistema previdenziale approvati dal 2004, complessivamente ha generato una riduzione della spesa pensionistica «pari a oltre 60 punti percentuali di Pil, cumulati al 2060».
Il Sole 24 Ore