Il ministro, in collegamento da Bruxelles, ha espresso una visione sull’agricoltura e gli allevamenti intensivi che non guarda avanti ma sembra voler mantenere un sistema che non fa bene a nessuno. Perché?
Magari esistesse, «l’eccesso di sostenibilità ambientale» di cui ha parlato il ministro Lollobrigida, ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. Nella nostra testa, ci immaginiamo con questa espressione una grandissima attenzione all’ambiente e alle tematiche che riguardano il futuro nostro e della Terra: un’attenzione che, ahimé, spesso manca, e che ci tiene ancora lontani dagli obiettivi di sostenibilità ideali.
Non la pensa così, evidentemente, il ministro Lollobrigida, che mette in guardia «nei confronti di un’eccessiva attenzione alla sostenibilità», che potrebbe mettere in difficoltà la sostenibilità economica dei comparti di cui il suo ministero si occupa. Il punto è già chiaro: spaventare con la crisi economica invece che abbracciare un cambiamento che è vitale. È quello che è successo per le recenti proteste degli agricoltori, indirizzate contro il cambiamento ecologico, ovvero l’unica scelta che può salvare un settore che la politica non è stata in grado di aiutare con un cambio di marcia.
«Per visioni ideologiche che poco avevano a che fare con la difesa dell’ambiente, l’agricoltore era diventato il nemico della sua terra una vera follia contro la quale ci siamo battuti», ha detto il ministro, in collegamento con Sky TG24 da Bruxelles, ribadendo più volte che il nostro è il «modello agricolo più virtuoso del Pianeta». Peccato che non sia del tutto vero.
L’eccesso di sostenibilità ambientale, nelle parole di Lollobrigida
Secondo il ministro, «se noi diminuiamo le nostre produzioni perché eccediamo in norme e vincoli, diventiamo soggetti all’acquisto di prodotti provenienti da quei Paesi che non rispettano nessuna regola, sull’ambiente, sui diritti dei lavoratori, regole che noi invece imponiamo in maniera spesso anche troppo rigida». Insomma, secondo il ministro pare che la sostenibilità ambientale che a oggi, agli occhi di molti e dei dati, sembra essenziale per garantire il futuro di tutti, possa in parte essere sacrificata sull’altare dell’economia.
«I tre pilastri che l’Europa vuole sono la sostenibilità ambientale, ma anche la sostenibilità economica e l’equità sociale che deriva dal mantenere un sistema in equilibrio», ribadisce Lollobrigida. «Quindi, siccome i nostri agricoltori e allevatori sono quelli che seguono di più le regole, cerchiamo di essere razionali e interveniamo per modulare la sostenibilità ambientale agli altri due pilastri».
I dati sugli allevamenti intensivi in Italia
Riguardo agli allevamenti intensivi, Lollobrigida arriva a definire il problema in Italia «un fenomeno del tutto irrilevante, se guardato nell’ambito planetario, rispetto a nazioni come la Cina». Come a dire, c’è chi fa peggio, molto peggio di noi, e se guardiamo nell’ottica globale il nostro contributo all’inquinamento ambientale è minimo. Peccato però che i dati dicano che la Pianura Padana sia l’area più inquinata d’Europa, con livelli che spesso superano di molto i limiti di legge e conseguenze gravissime sulla nostra salute. E non sembra essere un caso che proprio in queste zone, secondo la Banca dati nazionale dell’anagrafe zootecnica, si concentrino i più grandi allevamenti (ovvero quelli intensivi) dei quasi 400mila presenti in Italia.
Sempre nello stesso intervento ha ribadito che, a suo parere, il problema degli allevamenti intensivi in Italia non è delle dimensioni che riportano alcuni (cosa che aveva già avuto modo di fare, ad esempio, commentando il documentario Food for Profit di Giulia Innocenzi). Eppure sono proprio gli allevamenti intensivi – ricordano le ricerche dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – a causare l’80% delle emissioni nazionali di ammoniaca, che diventano il 90% quando si guarda all’intero settore dell’agricoltura.
E, anche se la principale fonte di emissioni è il trasporto su strada, il settore agricoltura è responsabile del 7% delle emissioni di gas serra, circa 30 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. La maggior parte di queste emissioni – quasi l’80% – deriva dagli allevamenti, in particolare dalle categorie di bestiame bovino (quasi il 70%) e suino (più del 10%), mentre il 10% proviene dall’uso dei fertilizzanti sintetici.
Insomma, non esattamente un problema «irrilevante», verrebbe da commentare, anche se è chiaro che si ridimensiona se guardato in ottica globale: l’Italia è un Paese molto piccolo, soprattutto se paragonato alla Cina, ma non è certo quello il modello a cui dovremmo guardare o il termine con cui dovremmo confrontarci.
Ribadisce Lollobrigida, «bisogna trasmettere dati reali, non opinioni e visioni ideologiche». «Noi siamo il modello agricolo più virtuoso del Pianeta», ripete, sostenendo che «la sovrapposizione del nostro sistema di allevamento ai dati delle emissioni non corrisponde a quella catastrofe che qualcuno in termini allarmistici tende a definire un elemento tale da dover ridurre il nostro modello di produzione che garantisce lavoro ed equilibrio sociale».
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