«In un contesto geopolitico e macroeconomico altamente instabile, ogni scostamento ingiustificato dal sentiero che abbiamo definito darebbe un moltiplicatore fiscale non solo inferiore a uno ma, con ogni probabilità, inferiore a zero, per via degli effetti negativi sul servizio del debito». Giancarlo Giorgetti coglie l’occasione offerta dalla presentazione del Rapporto annuale dell’Ufficio parlamentare di bilancio per rinforzare quella «linea della prudenza» che per il ministro dell’Economia «ci è stata riconosciuta dall’Europa e dai mercati fin dal nostro insediamento». E per rimarcare la distanza da «una stagione che ha cercato di stabilire un insieme di credenze collettive sbagliate, secondo cui più spesa e più trasferimenti avrebbero generato più crescita».
Credenze di questo tipo sono tutt’altro che scomparse dall’orizzonte politiche, anche dentro la maggioranza e nella stessa Lega di cui il ministro è il numero due. Ma Giorgetti oggi è il ministro dell’Economia di un Paese che per l’eredità del Superbonus (costo di 100 miliardi anche al netto della maggiore crescita secondo Bankitalia, a proposito di moltiplicatori, e 45 miliardi riconosciuti a persone che avrebbero comunque investito nei lavori) vede il debito/Pil in crescita mentre tornano in campo le regole fiscali. E ha quindi l’ultima parola sulle scelte di politica economica chiamate a tenere al sicuro la gestione del debito.
L’inquilino di Via XX Settembre prende la parola a Palazzo San Macuto negli stessi minuti in cui la Commissione Ue ufficializza la proposta di apertura di una procedura per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia. La decisione di Bruxelles «non è una notizia perché era ampiamente prevista», sottolinea il ministro. Che in ogni caso detta la linea della «selettività rigorosa» come principio guida della prossima manovra, la prima che deve fare i conti con le nuove regole fiscali comunitarie.
I cardini dello scenario in cui si dovrà muovere la legge di bilancio sono scanditi dalle cifre chiave riportate dalla presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Lilia Cavallari nella sua relazione. «Lo sforzo minimo di consolidamento per ogni anno potrebbe essere compreso tra 0,5 e 0,6 punti percentuali di Pil nell’ipotesi di un sentiero di aggiustamento in sette anni», spiega sulla base delle stime condotte dall’Upb sugli impatti del Patto Ue riformato. Tradotto in euro si tratta di 10-12 miliardi, con una calibratura oscillante negli anni a partire dallo 0,5% del PIl (10 miliardi abbondanti) alla base della «richiesta minima» per chi è in procedura per deficit eccessivo come ribadito ieri dal commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni. In teoria uno sforzo del genere non è enorme per il bilancio italiano. Che deve però fare i conti con gli oltre 20 miliardi necessari secondo i calcoli dello stesso Upb per confermare il taglio al cuneo fiscale e le altre misure in vigore solo quest’anno e coprire le altre spese obbligatorie («indifferibili») presenti in ogni manovra. «Qualora si intendessero confermare obiettivi in linea con gli andamenti tendenziali – avverte Cavallari -, sarà necessario individuare nella prossima manovra di bilancio coperture idonee per finanziare le politiche invariate che si deciderà di attuare e per nuovi interventi».
È esattamente quello che Giorgetti ha detto di voler fare. In una prospettiva che dunque imporrà scelte politiche non facili. Ma è la stessa riforma della governance economica a imporre un cambio di passo anche culturale nella gestione della politica economica, tradotta da Cavallari nell’esigenza di «una visione lunga che consenta la programmazione di interventi organici, sostenibili nel tempo».
Anche in questo caso la sintonia con Giorgetti, che in curriculum ha anche il ruolo di relatore alla legge sul pareggio di bilancio istitutiva dell’Upb oggi al decimo compleanno, appare piena. Perché la «selettività rigorosa» impone secondo il ministro dell’Economia «di ponderare in maniera molto attenta le risorse di ogni singola politica pubblica, con l’applicazione sistematica dell’analisi costi-benefici; anche nella spinta agli investimenti privati che abbandona la logica di «sussidi, trasferimenti a fondo perduto o garanzie che deresponsabilizzano gli investitori», come avvenuto a partire dal nuovo schema di coassicurazione pubblica Archimede approvato a fine maggio dal Cipess. La garanzia, che non potrà superare il 70% del finanziamento privato, serve a stimolare la leva senza ridurre l’attenzione sul rischio. Ed è un primo passo per superare la logica in cui lo Stato arriva a sostituire il privato nel rischio d’impresa perché, avverte Giorgetti, «è finita l’epoca dei finanziamenti a fondo perduto» e «non si può più prescindere da politiche che guardano alla sostenibilità a lungo termine».
Il programma, insomma, è impegnativo. E la sua prima prova sul campo è vicina.