Questa la decisione della giunta regionale di Luca Zaia, su proposta dell’assessora Manuela Lanzarin. Boron (Forza Italia): “Con questi metodi non si troverà mai un equilibrio, così si stimolano i medici ad uscire dalla sanità pubblica per andare nel privato”. Luisetto (Pd): “L’investimento va fatto nel personale pubblico in primis e la corresponsabilità non può arrivare ad avvantaggiare ancora un privato”.
Liste d’attesa, in Veneto ci sono ancora in pre-appuntamento 9.320 visite di Gastroenterologia, 2.820 prestazioni di Ortopedia e 2.800 di Medicina fisica e riabilitativa. Senza contare i controlli delle stesse specialità. Sono dati ufficiali, pubblicati nell’ultimo numero del Bur, il Bollettino della Regione del Veneto. Si tratta della delibera 608 dello scorso 4 giugno (Incarichi di lavoro autonomo conferiti dalle Aziende ed Enti del Servizio Sanitario Regionale, per le attività svolte in servizi/unità operative di gastroenterologia, ortopedia e medicina fisica e riabilitativa e legate al piano di recupero delle liste di attesa)., con cui la giunta regionale di Luca Zaia, su proposta dell’assessore alla Sanità Manuela Lanzarin, ha deciso di pagare a parte i medici che si faranno carico di smaltire tutte le prestazioni in attesa da mesi. In pratica, si ricorre ai “gettonisti”, comunque alla libera professione: i medici saranno pagati 100 euro all’ora, 40 euro lordi se si tratta invece di specializzandi.
Liste d’attesa, medici pagati 100 euro l’ora
È la stessa procedura decisa lo scorso marzo per smaltire gli arretrati di Oculistica e Dermatologia (all’epoca c’erano 20mila richieste di visite specialistiche cui dare risposta). Recita la delibera: “In ragione delle note carenze di personale ovvero della necessità di far ricorso a strumenti temporanei e maggiormente flessibili di reclutamento, è opportuno ricorrere al medesimo percorso anche per le ulteriori discipline di Gastroenterologia, Ortopedia e Medicina fisica e riabilitativa. Pertanto in assenza di valide graduatorie di concorso e di avviso pubblico, le aziende ed enti del Servizio sanitario regionale possono fare ricorso agli strumenti non ordinari di acquisizione delle risorse necessarie per garantire il pubblico servizio”. E questo perché, “con riferimento alle citate branche, la richiesta di prestazioni ambulatoriali di primo e secondo livello ha presentato un significativo incremento che non ha potuto trovare risposta adeguata”. Si tratta complessivamente di 15mila visite in lista d’attesa in tutto il Veneto, senza contare – e qui la Regione non dà numeri – i controlli. Dunque, a mali estremi, estremi rimedi. “Al fine di incrementare l’offerta di prestazioni in tali specialità e consentire una risposta adeguata agli assistiti, superando le attuali criticità dei tempi d’attesa, risulta necessario – dice la delibera – introdurre misure straordinarie e temporanee, con l’obiettivo specifico di garantire l’erogazione in tempi congrui delle prestazioni”. Di qui “il ricorso agli incarichi di lavoro autonomo”. Certo, le singole Ulss dovranno prima aver accertato: l’impossibilità oggettiva di utilizzare risorse umane interne; l’assenza di graduatorie valide di concorso o avviso pubblico; oppure, pur in presenza di graduatorie, il rifiuto del personale utilmente collocato nelle graduatorie stesse. E ancora aver indetto, in caso di assenza di graduatorie, procedure per assunzioni di personale a tempo determinato o indeterminato.
Le reazioni
«Una corresponsabilità tra pubblico e privato per lo smaltimento delle liste d’attesa ci può anche stare – dice Chiara Luisetto, consigliera regionale del Pd e componente della Quinta commissione Sanità – ma rischia di essere un cane che si morde la coda, una ennesima pezza su uno strappo che a parole si dice sia ormai risolto ma nell’esperienza delle persone non lo è, in un doppio binario dove le attese continuano e il personale manca. L’investimento va fatto nel personale pubblico in primis e la corresponsabilità non può arrivare ad avvantaggiare ancora un privato che, anche con questo sistema dei “gettonisti”, sta creando disparità enormi nelle strutture pubbliche. La corresponsabilità c’è se si condividono oneri e onori, altrimenti è solo disparità». Rincara l’azzurro Fabrizio Boron, anche lui componente della commissione Sanità di cui nella passata legislatura era presidente: «Cento euro all’ora, ma chi è dipendente prende meno. Con questi metodi non si troverà mai un equilibrio, così – come hanno sottolineato anche associazioni dirigenziali del comparto – si stimolano i medici ad uscire dalla sanità pubblica per andare nel privato».